dome 24 NOVEMBRE 2024 ore 13.51
Home Sport Riflettendo: “il calcio è solo un gioco?”

di Paolo Morelli

 

In un momento della stagione calcistica così delicato bisogna esercitarsi in riflessioni ferme ma soprattutto pacate e oneste sui mali del nostro calcio. L’industria del pallone ha fatturati da record in un momento dove le famiglie stentano a mettere il piatto a tavola. Senza entrare nel merito etico delle cifre guadagnate dai calciatori, giustificata dai lauti profitti che riescono a far produrre alle squadre di appartenenza, è chiaro che attorno al mondo del pallone gira una miriade di attività, giornali, Tv, pubblicità, gadget, diritti di immagine, scommesse sportive prime tra tutte, che necessitano di risultati in senso sportivo ed in quello generale. Il principale problema che viene creato da queste esasperate aspettative consiste nel fatto che la gare sportive siano spesso rappresentate come qualcosa di analogo alle guerre tribali (senza armi) dove strenuamente bisogna difendere il proprio campanile ed abbattere quello del nemico. Intere città ed interi territori diventano antagonisti ad oltranza. Assistiamo negli stadi a manifestazioni di violenza, acido rancore, tensioni ed addirittura razzismo territoriale che poi serpeggiano nelle menti e nei cuori dei cittadini anche al di fuori dell’ambito sportivo creando muri difficili da abbattere. Certo alcuni sostengono che è meglio scaricare e sfogare allo stadio e non nella vita quotidiana le frustrazioni ed i carichi nervosi accumulati durante la settimana. Ma sarebbe meglio iniziare ad educare i tifosi, prima di tutto quelli giovani e giovanissimi, a tifare esclusivamente per la propria squadra e non contro quella avversaria. Visto che la fede calcistica è qualcosa di cristallizzato nell’animo di un tifoso, bisognerebbe far capire che gli avversari di turno sono persone i cui sentimenti, aspettative, ma anche problemi sono del tutto simili a quelli propri, che ci sono supporters che fanno migliaia di chilometri alimentati esclusivamente dalla propria passione. E questi non devono essere identificati come nemici da abbattere, ingiuriare, malmenare. La Fiorentina, in un’annata di champions league, a fine partita si schierò all’ingresso degli spogliatoi applaudendo la squadra avversaria da cui era stata appena sconfitta. Poi questa sana abitudine è andata persa. Se ciò avvenisse al termine di ogni partita, molti animi si placherebbero riconducendo il tutto all’ambito sportivo. Detto dei tifosi, bisogna sottolineare con la matita rossa lo stato dei nostri obsoleti stadi e l’incapacità istituzionale di venire incontro alle esigenze dei nostri clubs che ormai stentano a competere con colossi economici che affiancano le più importanti squadre straniere i cui principali introiti derivano da sponsorizzazioni (vere o presunte vere) di provenienza estera, quasi esclusivamente russa e araba. Da noi ci stanno timidamente provando la Roma e l’Inter con l’ingresso di soci americani ed indonesiani. Ma ci vuole ben altro. Ed allora tanto di cappello alla Juventus che riesce ad accaparrarsi top players a parametro zero, facilitata però anche dal proprio blasone che orienta questi giocatori ad accasarsi in bianconero ed al Napoli la cui ottima gestione societaria ed i cui bilanci in ordine consentono di allestire una squadra che può competere con tutti. E potersela giocare in ogni partita è la principale prerogativa che deve avere un grande club sportivo, al di là del risultato.

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