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Adelante, Mister Quattrovolteventi

di Luigi Antonio Gambuti

Mai più. Mai più deve succedere ciò che è successo a Roma nei giorni scorsi. Non deve finire nel sangue una protesta operaia, che per quanto possa provocare, non deve trasformarsi in una guerriglia di strada, dove contendenti figli dello stesso tempo (la quotidiana lotta per la vita) se le danno di santa ragione. Santa la ragione di chi ha fame e guarda al futuro con disperazione (leggi: senza speranza); santa la ragione reazione di chi è stato messo là ad esercitare una funzione che un ruolo istituzionale gli ha affidato.
Due universi, il primo, quello dei lavoratori portati alla fame da politiche dissennate, gestite con notevole incapacità; il secondo, stretto a “tartaruga” a obbedire a ordini che partono da voci lontane dal campo di battaglia use a servire e a “obbedir tacendo” così come sui labari si va orgogliosamente sventolando.
Questo quando tocca ai carabinieri; lì a Roma sono stati schierati i poliziotti, essi stessi figli del dio minore che non tocca più di tanto le ragnatele del potere. Ne è a servizio, ne è elemento di difesa dello status quo, là dove i garantisti se ne fanno scudo per perpetrare le loro manovre e i loro arricchimenti.
Dispiace di scrivere e trattare di queste vicende.
Quando si sparge il sangue per avere ragione e lo si fa in una piazza affollata dove migliaia di persone reclamano attenzione alle loro condizioni, vuol dire che qualcosa non regge più nel sistema che ancora ostinatamente ci affanniamo di definire democratico, là dove c’è il pericolo, come ha detto il Capo dello Stato, di “violenze e rotture sociali senza precedenti” .
Un regime democratico che va interpretato come governo del popolo, dove il popolo decide del proprio presente e tratteggia il proprio futuro, sulle trame di una realtà, quella dei nostri giorni, che si presenta tristemente vuota all’alba e si consuma ancor più tristemente al morir del sole. La trama su cui si replicano le cosiddette guerriglie urbane è ormai ben nota e sperimentata. La fame da una parte; la repressione dall’altra, messa in campo per tutelare l’ordine costituito che, per chi ha fame e non ha niente da portare a casa ai figli che lo attendono, non ha senso; è il fallimento di una scheggia di modernità che fa star bene chi già sta bene e fa star male chi, giorno dopo giorno, stenta “malamente” la vita.
Ho spento da poco il televisore. Ho assistito alla replica di “Spaccanapoli-I dieci comandamenti” e ne sono rimasto sconvolto . Ieri sera ho assistito su tutti i canali televisivi ( chi sa chi ha” pensato ” di trattare lo stesso argomento-le case popolari occupate dai rom e dai poveri cristi nostrani) alle denunce delle condizioni di vita da Ragusa a Milano, passando per Napoli e Torre Annunziata che raccontano di una realtà diffusa, non più circoscritta alle Vele di Scampia, di una narrazione di condizioni di vita subumane e che dovrebbero-devono-rappresentare la vergogna di una nazione e di uno stato che ne amministra le istituzioni .
Stasera assisteremo al Ballarò di Massimo Giannini –c’è Renzi, lo ascolteremo!, e a “dimartedì” di Giovanni Floris. Ascolteremo le solite, consuete e non più credibili promesse; ci meraviglieremo delle cose che dicono per offendersi l’un l’altro e saremo sorpresi per la capacità che gli interlocutori hanno per sostenere le proprie opinioni. Le idee no; esse sono vanificate dal tristissimo momento che stiamo attraversando e difficilmente porteranno alla realizzazione d quanto in esse e da esse è programmato.
Renzi, allo stato e chissà fino a quando, dà ancora fiducia col suo parlar chiaro e con la caparbietà con la quale difende il suo comportamento. Fosse per questo va salutato l’orgoglio ritrovato di un Paese che non va col cappello in mano alla corte dell’Europa.
Non sente gufi e menagrami e sta rischiando di stravolgere il partito (se ne sta andando via, partito ancora una volta) con il suo decisionismo spalmato a tutto campo.
Alla sbarra restano i provvedimenti oggetto di annuncite. Ci sono argomenti-cose da portare in discussione e realizzare. Non bastano le giravolte dei suoi discorsi e che, poco o niente, interessano la gente, quella” povera” gente che non ha più lacrime da versare . Dal decreto Salvaitalia (o sfasciaitalia) alle manovre sul mercato del lavoro, dal corteggiamento della Confindustria alle inimicizie col Sindacato, si recita una farsa-commedia che man mano che passano i giorni viene fuori in tutta la sua drammaticità. Viviamo in un mondo privo di regole -è la comune percezione- là dove tutti si affannano ad arrangiarsi, calpestando diritti storicamente acquisti e dimenticando, sostenuti da una cultura dell’arroganza propria dei garantiti e degli impuniti, che c’è sempre qualcuno che ha bisogno di altro e dell’altro , non fosse che per conquistarsi un tozzo di pane o una mano tesa, che gli faccia sostegno e compagnia. Si incoraggi il quattrovolteventi; lo si segua nei suoi infaticabili tornei. Ci si guardi attorno.
In una società in cui sembra sia stato scandito il “liberi tutti” sono scomparsi i telai sui quali ognuno tesseva la propria tela.
Piccola o grande che fosse ma comunque da ognuno acquisita secondo le proprie capacità.
Si vive di una povertà assoluta, in cui si scatenano guerre tra poveri e si tracciano all’orizzonte scenari sempre più foschi.
Non serve ripensare a ritroso la storia della fame.
Dai forni del Manzoni alle mitragliere del generale Bava Beccaris, oggi niente sembra essere preso in considerazione, più di tanto, come sentinella di una nefasta rivoluzione; oggi che stiamo dando mano alle ultime risorse del nostro Bel Paese e delle nostre fragilissime convinzioni. Chi scriverà della fame odierna e delle sue nefaste conseguenze?
Ci trastulleremo il job act e la legge di stabilità, tra le riforme della giustizia e la revisione della legge Severino (l’ossigeno dell’ex cavaliere ringalluzzito), tra i delitti passionali e le squallide matrone che sporcano i pomeriggi di milioni di italiani; tra i rinvii a giudizio dei soliti Verdini, ,Dell’Utri e Cosentino; ci impegneremo a capire cosa vuol dire “distruzione creativa” ed assisteremo a cortei e manifestazioni che ancora mantengono il principio di legalità ben saldo davanti alle loro iniziative. Fino a quando? Ce la farà il navigatore della barca sballottata a portarci a riva e salvarci dalle acque tempestose?
E, questa, la solita scontatissima domanda.
Intanto, di questo passo, anzi, di queste promesse, non azzardiamo più certezze. Non ci resta che sperare; raccogliere le forze per mettere in campo quel poco di ottimismo che c’è rimasto, quello della volontà, che è ben altra cosa della razionalità e della presa di coscienza della realtà.

Napoli, 8 novembre 2014