Testimoniare la speranza: le parole del 2025. Matteo Tafuro. Nola
Testimoniare la speranza: le parole del 2025
di Matteo Tafuro
“È curioso vedere come quasi tutti gli uomini che valgono molto abbiano maniere semplici
e che quasi sempre le maniere semplici siano prese per indizio di poco valore”.
Giacomo Leopardi
ACCOGLIENZA
Un sentimento di fluidità domina le nostre esistenze causando disorientamento, incertezza. Ci relazioniamo, ci combattiamo, ci rapportiamo all’insegna della storicizzazione della verità. Questo è il tempo del qui e non altrove, dove ogni verità è contenuta in una cultura e un territorio circoscritti. L’umano del terzo millennio non sa più decidere cosa è bene e cosa è male: è il relativismo. Dal punto di vista filosofico, il relativismo è quella corrente di pensiero secondo cui la conoscenza umana non può penetrare la realtà in sé, ma deve accontentarsi di afferrare, della realtà, solo aspetti parziali, particolari, contingenti. Ciò genera, tra le altre cose, quelle bislacche discriminanti culturali, come la presunzione occidentale di essere superiore e poter diffondere la democrazia, dimenticando verità universali, come ad esempio il rispetto per la dignità umana. “Chi fomenta paura a fini politici semina violenza”, ha dichiarato Francesco Bergoglio. Nel Messaggio tutto dedicato a migranti e rifugiati, il Papa ci ha messo in guardia contro la retorica di chi fomenta la paura dei migranti a fini politici seminando violenza, discriminazione razziale e xenofobia, ed esorta le nazioni ad approvare i patti globali Onu per migrazioni sicure e per i rifugiati. Papa Francesco suggerisce a tutti i decisori 4 concetti da utilizzare per promuovere e integrare azioni utili a tessere strategie efficaci in grado di offrire a richiedenti asilo, rifugiati, migranti e vittime di tratta una possibilità di trovare quella pace che stanno cercando: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
ETNOCENTRISMO
Fino agli inizi del 1900, si riteneva che vi fossero popoli dotati di cultura e popoli sprovvisti di essa. Le etnie diverse da quelle occidentali, benché acculturate, venivano considerate, primitive o barbare. Questa netta suddivisione è spiegata come etnocentrismo dell’uomo occidentale, il quale pensandosi detentore unico del sapere ha pensato bene, di proporre la propria cultura come termine di paragone per le altre. Gli antropologi ci dicono che con il termine etnocentrismo si indica il concetto secondo il quale il proprio modo di vita è il solo vero modo di essere integralmente uomini. Si tratta di una forma di riduzionismo, perché riconduce l’altro modo di vita a versione deformata del proprio: se il nostro è giusto il loro non può essere che sbagliato. In questi tempi moderni lo Zeitgest, lo Spirito del tempo, ci chiede continuamente: ”Chi sei?”. Ecco il tarlo del nostro tempo: l’identità. Per essere qualcuno devi per forza registrarti in una categoria del genere homo sapiens, senza non sei nessuno. Sei un capo e allora prontamente rispondi: “Sono quello che faccio”. I giovani in cerca del primo impiego, il cinquantenne che cerca di ricollocarsi che fine fanno? Disarcionati dalla recessione e dalla buona novella proclamata dai sacerdoti della sobrietà, diventano simili a chi non lavora, non studia e non è in training: Neet, cioè non esistenti, affiliati alla moribonda classe globale ipertecnologica che pensava di avere in mano le sorti del mondo. Siamo ritornati all’origine quando al temine etnocentrismo, venne dato un significato di tipo evoluzionistico unilineare secondo il quale esisterebbe una linea di evoluzione biologica e culturale dominante, in cui tutte le società, attraversano diversi stadi progredendo a velocità diverse, le più lente restano a un livello inferiore rispetto a quelle che si evolvono più in fretta. Niente di più falso, perché l’umanità intera deve tendere a far nascere la vera relazione e cioè la comunità. Tutti gli esseri umani inseriti in una civiltà ne sono capaci, perché sanno riconoscere un bene comune che va al di là degli interessi di ciascuno.
PLURALISMO
L’epoca delle forti conflittualità è in forte espansione, siamo posti davanti ad una realtà culturale sicuramente indecifrabile secondo i nostri consueti canoni, c’è ambivalenza relazionale, esperienze frammentate e disperse. Nel concreto di ogni giorno, sperimentiamo che ci sono posizioni diverse, che si contrappongono e talvolta perfino si combattono. Ci troviamo dunque all’interno di un labirinto, come uscirne, senza correre il rischio di trovarci faccia a faccia con il Minotauro? Quali ali poter mettere sperando di non fare la fine di Icaro, bensì quella di Dedalo che si salvò? Le nostre radici stabili, solide e definitive sono marcite e il più delle volte abbiamo smarrito il nostro futuro. Il vostro bel mondo occidentale è schiacciato sotto il tallone di una dottrina del pluralismo che partendo da un assunto neutro, la pluralità delle culture, fa nascere l’assoluto morale: ogni valore, ogni principio morale è relativo. Matthew Fforde, storico inglese, identifica questa ideologia come filosofia del vuoto, alla quale addebita la nascita della desocializzazione, fenomeno che genera una inesorabile liquefazione dei vincoli sociali. Per la filosofia del vuoto non esiste alcun principio universale in campo morale. Tutto è negoziabile, perché tutto si crea da una natura storico/culturale, così di tutelare come il sol dell’avvenire tolleranza e pace per ogni diversità. Il dogma del pluralismo spesso si autorigenera in nichilismo che, frantumando le certezze acquisite si rovescia nel suo contrario, cioè bieco e intollerante dogmatismo. Il sociologo Peter L. Berger così scrive sull’equiparazione delle culture. “Se io credo che il cannibalismo sia sbagliato, credo ipso facto che la mia cultura non fondata sul cannibalismo sia superiore a tutte quelle in cui le persone si mangiano l’un l’altra – almeno sotto questo aspetto. Al contrario, l’individuo completamente tollerante è ipso facto un individuo per il quale nulla è vero, e in ultima analisi, forse, un individuo che non è nulla. E questo è il terreno su cui spuntano i fanatici”. Abbattere ogni principio della morale fa nascere quel bisogno impellente di certezze, che può indurre l’essere umano ad abbracciare universi morali marcati da una cieca intransigenza. Così dalla tolleranza assoluta del relativismo si arriva, dritti dritti, all’intolleranza del fanatismo. Vedi bene la sorte dei giovani europei passati dal nichilismo all’ideologia jihadista. Molte culture esaltano, ad esempio, la potenza militare e la costruzione di grandi infrastrutture, mentre relegano ai margini il lavoro di socializzazione, definendolo cosa senza importanza il lavoro di costruzione di legami e relazioni nelle comunità. Ma cosa ha davvero valore? Già Adam Smith, teorico dell’economia di libero mercato, nel 1779 nel meno noto: “La Teoria dei sentimenti sociali”, sottolineava con forza l’importanza dell’altruismo e dell’empatia per la crescita della società umana.
Nola 8 gennaio 2025