ONOREVOLE LEI ? MA MI FACCIA IL PIACERE!
ONOREVOLE LEI ? MA MI FACCIA IL PIACERE!
di Carlo Gimmelli
TOTO’, IL PIU’ GRANDE ATTORE COMICO ITALIANO E FORSE MONDIALE, A CINQUANTASETTE ANNI DALLA MORTE NON HA ANCORA LA SUA CASA MUSEO, CHE TRA PROMESSE, FINTE INAUGURAZIONI, FONDI SPERPERATI E AMMINISTRAZIONI INADEGUATE NON HA MAI APERTO E, OGGI CADE A PEZZI.
Fosse stato ancora vivo il Principe della risata avrebbe descritto sinteticamente con un sonoro spernacchiamento l’incredibile e indegna farsa dell’annunciato, inaugurato e mai aperto Museo di Totò nel quartiere Sanità dove nacque il 15 febbraio 1898, quella città nella città da dove, poverissimo, attinse a piene mani l’umanità, i gesti, le miserie, le ricchezze che riversò nella Commedia dell’arte di cui fu supremo interprete.
La storia senza fine del non museo nasce alla fine degli anni novanta da una idea della amatissima figlia Liliana, morta nel 2022, e della nipote Elena Anticoli, figlia di seconde nozze di Liliana; un’idea polemica che imputava alle amministrazioni della città Natale di Totò, continuamente citata e invocata in tutta la sua straordinaria carriera, la totale indifferenza nell’omaggiare uno dei suoi figli più grandi.
Il luogo ideale fu ritenuto lo storico Palazzo dello Spagnuolo, un altro tesoro in decadenza, nel cuore della Sanità, a pochi passi dalla sua casa Natale in Via S.Maria Antesaecula, 109; i locali, due piani di proprietà della Regione, furono dati in comodato d’uso al Comune per approntare in poco tempo la casa-museo che avrebbe accolto centinaia di cimeli, scritti, abiti di scena del grande artista donati dalla famiglia, associazioni, teatri.
Tutto pareva volgere al meglio, siamo agli inizi della sindacatura Iervolino, il ministero stanzia i primi fondi, si allestiscono gli spazi, si attendono i preziosi cimeli poi…il nulla.
L’anomalo museo sito in un condominio privato viene inaugurato due volte ma non aprirà mai al pubblico.
Ci si accorge che manca l’indispensabile ascensore funzionale alla struttura, cui nessuno aveva dato peso e parte il solito ping pong di veti e responsabilità tra il Condominio, la Sovrintendenza, il Comune e il Ministero.
Si susseguono sindaci, ministri, amministratori con il collaudato e stentoreo catalogo di annunci, promesse, date, risultato: Il nulla, locali inutilizzati, teche vuote, la rappresentazione plastica di un mix di incompetenza, inefficienza e lassismo.
Dopo venticinque anni il Museo dimenticato, giace e cade a pezzi: pavimenti rialzati, crolli di controsoffittature, infiltrazioni, soldi buttati: insomma la solita litania.
Il ricordo dell’amore perenne che il popolo ha nutrito per il suo Principe della risata lo si respira quasi ovunque, e non solo alla Sanità, tra murales, edicole votive e frasi estrapolate dalle sue poesie o dai suoi film immortali, tutte testimonianze partite “dal basso”, dai vicoli di quella Napoli “disgraziata e ribelle” che eternò nei capolavori “L’oro di Napoli” e “Napoli milionaria”.
Palazzo San Giacomo ha onorato uno dei suoi figli più grandi intitolandogli un anonimo vicoletto nei pressi dell’Orto Botanico.
A nulla sono valse le periodiche petizioni, raccolte di firme e iniziative per scalfire il vergognoso muro di gomma di funzionari ministeriali e politicanti che, a vario titolo, si sono rimbalzati la responsabilità dell’inerzia, buon ultimo l’ecumenico sindaco Manfredi che l’anno scorso nel corso di un ennesimo convegno ebbe a dire: “Per il Museo di Totò c’è un’interazione con il Ministero della Cultura, stiamo ragionando anche con la famiglia. Il Ministero vuole investire sul Museo Totò, ha delle risorse ad hoc, quindi stiamo valutando qual è la soluzione migliore. Esiste una preesistenza di alcune iniziative che sono state fatte alla Sanità, dobbiamo valutarne la praticabilità perché è tutto fermo da anni”: in soldoni, il solito burocratese e il rinvio sine die.
Forse il Principe aveva già capito tutto della politica: innumerevoli le sue battute amare e ironiche sulla inconsistenza di una certa (mala) politica e nonostante fosse considerato un monarchico anarchico si tenne sempre a debita distanza da apparentamenti speculativi e con chi lo tirava per il frac per ottenere facili consensi.
La povera Liliana se ne è andata due anni fa e in quella occasione riuscimmo a scambiare due battute con Antonello Buffardi, il suo primogenito e primo nipote dell’attore che espresse lo scoramento della madre e della famiglia dinanzi all’immobilismo e all’indifferenza delle cosiddette Istituzioni.
Naturalmente, puntuale, arrivò anche la promessa dell’immarcescibile Franceschini, ai tempi responsabile del dicastero della Cultura in salsa PD, che all’indomani della morte di Liliana de Curtis dichiarò “Il Ministero è al lavoro per rendere concreta l’idea di una grande sede museale a Napoli capace di rendere onore e celebrare Totò. Uno dei più straordinari, immensi artisti dell’Italia del Novecento”.
Le stesse parole che aveva usato nel 2020 annunciando la imminente apertura del Museo con fondi già stanziati. Già, i fondi, si parla di oltre due milioni di Euro, ma che fine hanno fatto questi soldi? Ah, saperlo!
Un altro dei misteri gloriosi della (mala) politica italiana.
Oggi, a due anni dalla morte di Liliana, che volle i funerali nella chiesa di Santa Maria ai Vergini negli stessi luoghi che videro nascere e crescere Totò, la vergognosa farsa del Museo annunciato e mai nato continua periodicamente a dare linfa a qualche noiosa conferenza stampa in cerca di visibilità.
Inutile sottolineare la cecità culturale ma anche economica degli ignavi inquilini di Palazzo San Giacomo o di Palazzo santa Lucia che testimoniano l’incapacità di sfruttare appieno l’immenso patrimonio della città mai come in questi anni ambita ma, spesso, inconsapevole meta culturale e turistica mondiale.
“E più mangiavano più facevano beneficenza; più facevano beneficenza, più mangiavano!” (A. de Curtis)
Napoli, 12 luglio 2024