De Luca’s family e il Romanzo Quirinale.
De Luca’s family e il Romanzo Quirinale.
di Carlo Gimmelli
Gli anni sdraiati dell’era Covid ci offrono quotidianamente uno spettacolo sempre più inimmaginabile il giorno precedente.
Quando credevamo di aver visto tutto, all’alba del giorno dopo c’è quasi sempre un motivo per indignarci o fingere di stupirci: così assistiamo al delirio quotidiano della guerra epidemiologica tra No vax, Si vax e Ni vax, tra i Si Dad e No Dad, tra i green pass e i No green pass, tutto centrifugato per bene e lanciato verso un enorme ventilatore che ci seppellisce sotto una montagna di false notizie che, democraticamente, investono tutti, per cui la verità dell’amico di un amico di un elettrauto che lo ha saputo in via esclusiva “sull’internet” ha la stessa valenza dei dati di un ricercatore virologo o infettivologo.
Ma anche il parterre dei cosiddetti “addetti ai lavori” ha contribuito ad alimentare il controcanto, ogni altare dell’informazione ha avuto il suo guru di riferimento, qualcuno si è invaghito della telecamera, ed è passato dalla corsia al camerino, dalla tragedia alle luci della ribalta.
Ormai da quasi due anni viviamo in una bolla dove vero e verosimile sono tutt’uno, dove persone che ritenevamo attendibili e stimabili ci riferiscono che c’è un grande progetto di distrazione di massa, un grande piano economico sociale per dominarci e ridurci alla schiavitù 3.0 sotto la minaccia di una perenne dittatura sanitaria.
E la politica?
La politica nella percezione comune ha smesso da decenni di perseguire il bene comune e cerca solo di sopravvivere a sé stessa tentando di rinascere dalle proprie ceneri, novella Fenice, rinchiusa nel Palazzo mentre la città brucia.
In questo contesto tra poco più di dieci giorni, ci saranno le elezioni del nuovo inquilino del Colle, e mai, come in questo caso, la politica era stata così incapace di convergere su un nome inclusivo.
Ciò che credevamo essere possibile solo nella sbilenca sceneggiatura di un b-movie di Bolliwood si sta concretizzando tra l’apatia la rassegnazione dei sudditi.
E così accade che l’ultrasettantenne governatore della Campania De Luca, risorto politicamente grazie alla pandemia, parteciperà come grande elettore della Campania alle elezioni presidenziali del 24 gennaio e lo farà accanto al figlio Piero, deputato PD, salito al soglio di Montecitorio nel 2018, pur sconfitto sonoramente nel suo feudo, grazie al complicato meccanismo proporzionale di riserva.
Nessuno dubita delle notevoli doti politiche del delfino di Papà Vincenzo che, da qualche giorno ha ottenuto il ruolo di professore associato presso l’Università di Cassino con una selezione diretta riservata ai ricercatori, suscitando una bufera mediatica che ha portato alle dimissioni dal PD del costituzionalista Marco Plutino, anch’egli docente universitario a Cassino, che ha definito il partito ostaggio del malcostume politico e del degrado in cambio di voti e consenso.
Padre e figlio dunque siederanno l’uno accanto all’altro nella maratona presidenziale più prestigiosa, un caso senza precedenti che non era riuscito neanche alla famiglia Gava che di figli d’arte se ne intendeva.
I De Luca’s dunque protagonisti di una battaglia silenziosa di pacchi, doppio pacchi e contropaccotti che si preannuncia complessa come mai prima d’ora, con il nodo Draghi, al momento ostaggio di Bruxelles e del PNRR, stufo di fare il garante e il mediatore della litigiosità dei partiti che non hanno nessuna voglia, tranne forse la Meloni, di tornare al voto allo scoperto e, con il taglio dei parlamentari, rischiare l’irrilevanza politica.
Inoltre il 70% dei detentori del biglietto vincente del 2018, specie tra ciò che resta dei grillini, è certo di doversi cercare un lavoro ed attende, impaziente, che a Settembre maturi il diritto alla sudata pensione.
Draghi, dunque, ago imprescindibile della tenuta della legislatura, e nella mischia ricompare il Cavalier Pompetta Berlusconi che, nonostante le stimmate dell’impresentabilità per le condanne definitive per evasione fiscale, si sta ritagliando con la proverbiale astuzia il ritratto di Padre della Patria, strizzando l’occhio perfino agli odiati fuoriusciti ex grillini, benedicendo il reddito di cittadinanza, identificandosi nell’area moderata europeista trasversale.
Ciò che fino a pochi mesi fa sembrava l’ultima gag di un attempato impresario televisivo, pare ore una operazione non impossibile: dei 505 voti necessari per salire al Colle, il centrodestra che “dovrebbe” sostenerlo compatto, ne conta 480 e il Cavaliere che ha sempre goduto di ottimi metodi di persuasione sarebbe a caccia di circa 50 voti (per mettersi al riparo dai traditori), soprattutto nel gruppo misto, mai così folto come in questa legislatura.
Da qui la denuncia di Letta di telefonate partite da Arcore, anche ad esponenti PD, con promesse di ricandidature sicure alle prossime elezioni, uno di quegli argomenti che fa sempre presa sui Parlamentari.
Mentre la scheggia Berlusconi mina e divide il teatrino, il melodramma si concretizza nella totale mancanza di un nome non di schieramento, di alto profilo, che soprattutto sia gradito a Bruxelles e che metta d’accordo la maggioranza.
Un inedito assoluto, neanche le elezioni del ’92 nel pieno di tangentopoli e delle stragi di mafia, e che portarono al soglio Quirinale il mai troppo amato Scalfaro, ebbero un prequel così incerto e mediocre.
Di conseguenza nelle ultime ore, nel riserbo dovuto, i “leader” (?) della maggioranza hanno ripreso a tirare per la giacca il garante Mattarella: restare almeno per un anno, almeno fino al compimento del progetto Draghi, almeno fino alle pensioni dei peones parlamentari.
Insomma ancora una volta, la situazione è tragica ma non è seria.
Napoli, 13 gennaio 2022