Rapporto ISPRA. In Italia transizione ecologica work in progress
Rapporto ISPRA : in Italia transizione ecologica work in progress
di Pasquale Falco
Il rapporto “Dove va l’ambiente italiano” presentato alla Camera dei deputati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) è la fotografia di un Paese in movimento, tra passato e futuro, un paese coperto quasi al 40% da foreste, più di Germania e Svizzera, e che ha visto crescere le aree protette di terra e di mare fino al 20% del territorio nazionale.
Si riducono le emissioni di gas serra, calate del 19% negli ultimi 30 anni, come anche le principali fonti di inquinamento atmosferico. Preoccupano però l’ozono, la situazione dei grandi centri urbani e la Pianura Padana. Non dà tregua l’aumento delle temperature dal 1985, si aggravano le isole di calore nelle città. Avanza la transizione energetica: in 15 anni diminuito del 18% il fabbisogno di energia rispetto al picco del 2005 e più che raddoppiati i consumi da fonti rinnovabili (19%), ma, se l’industria è avanti, c’è ancora tanto da fare per trasporti e usi residenziali.
Passi avanti anche per l’economica circolare: l’economia usa sempre meno risorse naturali, la raccolta differenziata continua ad aumentare e si riduce sempre più il conferimento in discarica.
Per quel che riguarda il consumo di suolo la transizione è ancora indietro per non dire a zero, 60 chilometri quadrati ancora perduti ogni anno ovvero 15 ettari al giorno. Italia paese ricco di acqua, ma, tra Valle d’Aosta e Puglia oltre 1000 mm/anno di differenza nelle precipitazioni.
Il mare è tra le matrici ambientali quello più sotto stress: costoso da monitorare e controllare, eccessivo lo sfruttamento della pesca, invaso dalla plastica.
Biodiversità italiana sotto attacco delle specie aliene, aumentate del 96% in 30 anni (la media UE è 76%). L’agricoltura e l’allevamento sono la più forte pressione sull’ambiente nel nostro Paese, oltre che la prima minaccia alla nostra biodiversità.
Secondo il rapporto Ispra il grande problema della produzione del cibo è la competizione con la natura selvatica per una risorsa fondamentale: il territorio. Per fare agricoltura bisogna infatti eliminare un ecosistema naturale, con le sue piante e i suoi animali, e sostituirlo con un ambiente artificiale, semplificato, che va poi difeso dai tentativi della natura di riprenderne possesso con l’aratura e l’uso di pesticidi ed erbicidi. Dopo il raccolto, viene ripristinata la fertilità del suolo con i fertilizzanti. Tutto questo richiede energia da fonti fossili che contribuiscono al cambiamento climatico. In passato, un’agricoltura poco produttiva ha costretto a sottrarre alla natura gran parte dei nostri boschi e quasi tutti gli ambienti umidi, come le grandi paludi nella Pianura Padana e lungo le coste. Oggi l’agricoltura intensiva è in grado di produrre molto più cibo sulla stessa terra e ha già restituito molti territori al bosco, soprattutto in collina e in montagna, ma, dove viene praticata ha spesso un impatto molto forte sull’ambiente. La stessa cosa è avvenuta con l’allevamento intensivo: da una parte i pascoli abbandonati sono tornati al bosco, ma dall’altra gli allevamenti intensivi sono molto inquinanti, mentre la produzione di mangimi richiede che moltissima terra coltivabile venga dedicata a questo scopo.
In Italia si usano 114.000 tonnellate l’anno di pesticidi, che rappresentano circa 400 sostanze diverse. Gli indicatori europei che misurano l’uso e il rischio dei pesticidi mostrano continui progressi, a partire dal 2011 la riduzione complessiva del rischio in Europa è stata del 21%, mentre in Italia si è fermata al 15%. Se da una parte continua la diminuzione dei residui di pesticidi nel cibo che mangiamo, dall’altra aumenta in modo significativo l’inquinamento da pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee. Nel 2019 le concentrazioni misurate di pesticidi hanno superato i limiti previsti dalle normative nel 25% dei siti di monitoraggio per le acque superficiali e nel 5% di quelli per le acque sotterranee. Però, ISPRA sottolinea che la contaminazione rilevata è ancora sottostimata, a causa delle difficoltà tecniche e metodologiche, anche se negli anni l’efficacia del monitoraggio sta migliorando in relazione alla copertura territoriale, al numero di campioni analizzati e alle sostanze cercate.
È pur vero che a tutt’oggi Parlamento e Governo non sembrano in grado di fornire strumenti adeguati per trovare soluzioni efficaci a questa grave situazione, con l’agricoltura ancora una volta sotto accusa per il suo elevato impatto sull’ambiente e sulla biodiversità. Il nuovo Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari è praticamente scomparso, dopo la scadenza nel febbraio 2019 del Piano precedente, la Legge nazionale sull’agricoltura biologica è ferma alla Camera dei Deputati e rischia di non essere approvata prima del termine della Legislatura, il Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 con il quale il nostro Governo e le Regioni devono programmare l’utilizzo di 51 miliardi di euro fino al 2027 è assolutamente inadeguato per sostenere una vera transizione ecologica della nostra agricoltura. A fronte dei dati preoccupanti presentati dal rapporto Ispra è evidente l’assenza di volontà dei nostri decisori politici a mettere in campo soluzioni efficaci per risolvere i problemi causati da una agricoltura sempre meno sostenibile. Ed è per tali motivazioni che tutte le associazioni ambientaliste con in testa il Wwf chiedono alla politica un maggiore impegno per rendere la nostra agricoltura davvero più sostenibile e non fare solo greenwashing ( un lavaggio verde).
Napoli, 15 dicembre 2021