La mobilità sostenibile supera la cultura dello scarto. Martina Tafuro. Verona
La mobilità sostenibile supera la cultura dello scarto.
di Martina Tafuro
Ridurre gli impatti delle esternalità legate agli spostamenti di persone e merci.
Questo è lo scopo della mobilità sostenibile.
L’attenzione globale al tema legata alla sola misurazione degli impatti economici e ambientali diretti si evolve oggi nella presa di coscienza di una serie di altri effetti, per così dire, indiretti.
Alcuni studiosi individuano nelle scelte di mobilità sostenibile impatti importanti sulla salute fisica, ma anche e soprattutto psicologica delle persone.
Cosa accadrebbe se non avessimo più a disposizione alcun trasporto a motore? Chiudiamo gli occhi un istante e immaginiamo di vivere in una realtà in cui ogni spostamento può avvenire solo camminando, pedalando, navigando con i venti o a bordo di un carro.
Una soluzione al generale senso di noia misto allo stress per i galoppanti ritmi di vita imposti dalla società.
Si pensi ai benefici legati ad una passeggiata al curato parco urbano o agli incontri con perfetti sconosciuti in bus, ad oggi coadiuvati dalle politiche, congestion charge per dirne una.
Facile a scriversi. Difficile a realizzarsi quando la “paura cosmica” di Zigmunt Baumann è diventata una certezza con il diffondersi della pandemia da Covid 19.
Michel Agier conferma: “Possiamo affermare di essere tutti stranieri perché appena ci muoviamo conosciamo le paure degli altri, la paura reciproca. […] Decisioni che producono ulteriori confini: ogni volta che ci spostiamo, il nostro corpo crea nuove frontiere che si spostano insieme a noi, una accezione inedita del termine straniero che in parte mi inquieta”.
“tutto è strano quando sei uno straniero”. Jim Morrison
I confini che si rafforzano e le distanze che si impongono non fanno che alimentare la paura del diverso, la solitudine, l’ansia da relazione ravvicinata.
In “Anthropologie de la ville”, Agier offre un’originale cornice interpretativa alla necessità di ricreare nuovi spazi di condivisione nella città per gli abitanti.
Ripartire dai cittadini per trasformare le città, in modo che si vestano delle moderne logiche sociali, politiche e culturali.
“Fare città” per garantire il “diritto alla città” per tutti, nel modo di oggi, ora.
Nelle “favelas” e negli accampamenti nell’Africa nera, in Brasile, in Colombia e più recentemente in Europa si sente un “richiamo” alla città agognata.
“Si rafforzerà una tendenza già in atto: il rifiuto del gigantismo delle metropoli, la predilezione per la prossimità micro-urbana.
Alcuni studi hanno rivelato che, appena cominciato il lockdown, circa un milione e mezzo di persone ha lasciato l’Île de France, la regione di Parigi.
Un esodo di massa verso le seconde case, risposta alla distopia delle macro-politiche urbane che dividono aree contaminate da incontaminate”, queste le parole dell’autore.
Questa occasione che il presente ci offre è unica nella sua possibilità di cambiamento. È possibile pensare oggi a sistemi di riduzione delle disuguaglianze?
Mi piace pensarla come Papa Francesco:
“Ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte.
È il cammino. Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno”.
La pandemia ci ha scoperti tutti fratelli, permettiamoci di superare la cultura dello scarto.
Verona, 20 ottobre 2021