La radioattività da Radon
La radioattività da Radon
di Pasquale Falco
Per radioattività si intende la capacità di alcuni elementi chimici di decadere, cioè trasformarsi in altri elementi e di emettere radiazioni energetiche.
Quando, nell’attraversare la materia, l’energia emessa è sufficiente a strappare ioni, la radiazione si definisce ionizzante ed è in grado, in determinate condizioni, di danneggiare la materia stessa, ivi compresa quella vivente.
La quota di gran lunga più rilevante e pericolosa di radioattività naturale è quella derivante dall’esposizione prolungata a radon presente nell’aria degli ambienti confinati. Ripercorriamo la genesi della problematica da radon e i metodi per affrontarla.
Dalla sua – comparsa sulla terra, il genere umano è esposto alla radioattività di origine naturale, che viene:
- sia dallo spazio, attraverso i raggi cosmici,
- sia soprattutto dall’interno del nostro pianeta, generata da elementi chimici presenti nelle rocce superficiali e profonde.
La radioattività terrestre è una proprietà spontanea di alcune specie di atomi, o meglio di alcuni loro isotopi, cioè forme atomiche diverse della stessa specie chimica, i quali presentano una perdurante instabilità; per questa, tendono a perdere uno o più costituenti dal nucleo dell’atomo originario, trasformandosi in atomi di altri elementi chimici.
Tale processo viene definito decadimento radioattivo.
Durante il decadimento, a seguito della trasformazione nucleare si producono tre tipi di emissioni, particelle a, alfa, particelle b, beta, e raggi g, gamma, che hanno un crescente capacità di penetrazione della materia.
Le particelle α penetrano in misura molto scarsa nella materia perché sono tra le particelle più pesanti emesse dai nuclei.
Questa caratteristica permette loro di superare ad esempio solo gli strati più esterni della cute; comportano quindi rischi contenuti, fermo restando che implicano rischi molto maggiori in alcune circostanze (penetrazione attraverso lesioni della cute, ingestione accidentale di cibi contaminati, inalazione di gas radon).
Le particelle β hanno un potere di penetrazione maggiore nei tessuti del corpo. Le radiazioni γ, vere e proprie radiazioni elettromagnetiche, possiedono frequenza, e quindi energia, molto più elevata. Costituiscono il tipo di radiazione più penetrante.
Quando la radiazione è sufficientemente energetica da essere in grado di strappare ioni alla materia attraversata, si definisce ionizzante: da essa ci si deve difendere, limitando l’esposizione ad essa.
La quantità di decadimenti radioattivi che si verificano nell’unità di tempo (un secondo) determina l’attività dell’isotopo, misurata in Bequerel (Bq), laddove 1 Bq equivale ad 1 decadimento radioattivo al secondo.
Maggiore sarà il numero di decadimenti, maggiore risulterà l’attività. L’unità di misura dell’attività si esprime in Bq per metro cubo (Bq/mc), se il radionuclide è allo stato gassoso; nel caso, invece, in cui il radionuclide sia incluso in una matrice liquida (esempio, disciolto in acqua) l’attività viene espressa in Bq per litro (Bq/l).
Ogni elemento radioattivo ha un suo caratteristico periodo di decadimento, che è il tempo necessario affinché il numero di isotopi inizialmente presente in una sostanza si riduca della metà.
Oggigiorno in generale il progresso tecnologico induce un aumento dell’esposizione alle radiazioni: un esempio di esposizione alla radioattività naturale cosmica è quello che interessa il personale di bordo degli aeromobili, e limitatamente anche i passeggeri, impegnati in frequenti voli ad alta quota.
Ma all’esposizione alle radiazioni naturali si è aggiunta anche quella alla radioattività indotta dall’uomo, derivante da applicazioni di fonti artificiali utilizzate in ambito medico, industriale, nella ricerca scientifica o legate all’impiego pacifico dell’energia nucleare o alla conduzione in passato di test nucleari.
Il corpo umano è esposto alla radiazione ma è esso stesso, nel suo piccolo, una sorgente naturale di radiazioni, sia per la presenza in quantità definite di elementi chimici radioattivi (il potassio-40 e il carbonio-14), sia per ingestione e inalazione rispettivamente di alimenti e di aria contenenti atomi che decadono.
Le radiazioni ionizzanti che si producono all’interno del nostro corpo sono in grado di generare danni al DNA di alcuni tessuti; grazie ad appositi meccanismi cellulari gran parte di tali danni vengono continuamente riparati, e solo la parte di DNA che eventualmente rimane danneggiata potrebbe potenzialmente col tempo trasformarsi in tumore.
Per questo l’accumulo di radioattività interna va comunque fortemente limitato sino a livelli di attività che non risultano pericolosi per la salute umana.
Anche la radioattività da fonti indotte, se affrontata con accorgimenti adeguati, limitando la durata delle esposizioni alle sorgenti radioattive e adottando protezioni e schermature efficaci, risulta poco pericolosa.
Non altrettanto può dirsi, quando l’esposizione alla radioattività naturale proveniente dal suolo è intensa e prolungata nel tempo; per l’uomo, in tal caso, la lunga permanenza in tali situazioni al chiuso è estremamente rischiosa.
L’esposizione al radon, presente nell’aria degli ambienti confinati, rappresenta la condizione di maggiore rischio nell’ambito della radioattività naturale.
Il radon è un gas naturale, incolore, inodore ed insapore; è incluso tra i gas nobili, così detti perché non si legano ad altri elementi. Fuoriesce principalmente dai suoli, al di sotto dei quali è generato continuamente da alcune rocce (principalmente lave, tufi, graniti, pozzolane) nelle quali sono presenti i suoi precursori.
All’aperto si disperde in atmosfera (cioè si diluisce in una grandissimo volume d’aria, quindi con una bassissima concentrazione), mentre, se penetra negli ambienti confinati, essendo circa 8 volte più pesante dell’aria, tende ad accumularsi soprattutto nei vani interrati e ai piani terreni degli edifici.
Essendo solubile in acqua, è presente frequentemente nelle falde acquifere come gas disciolto.
È stato calcolato che il suolo è responsabile dell’80% del radon presente nell’atmosfera, l’acqua del 19% e le altre fonti solo dell’1%.
Oggigiorno il radon-222 rappresenta l’isotopo radioattivo di maggiore rilevanza ai fini del rischio per la salute dell’uomo.
Geneticamente il radon si origina nell’ambito di una sequenza di decadimento radioattivo che parte dall’uranio-238.
Partendo dal capostipite, gli elementi di tale sequenza sono instabili e tendono a trasformarsi nel successivo elemento, radioattivo a sua volta, con un proprio tempo di dimezzamento, trascorso il quale la quantità di atomi dell’elemento chimico presente all’inizio diventa la metà.
A circa metà della sequenza si genera il radon-222, il cui atomo, derivato dalla disintegrazione del radio-226, trasmuta a sua volta, trasformandosi in successione in polonio-218, piombo-214, bismuto-214, detti elementi figli, e via via in tutti gli altri radionuclidi.
Alla fine si forma il piombo-206, che, contrariamente a tutti gli altri elementi della sequenza dell’uranio-238, è stabile e quindi la chiude, facendola cessare.
Sia il radon sia gli elementi figli si accumulano progressivamente negli spazi delimitati e vanno a comporre la miscela di aria che vi è racchiusa; la loro concentrazione nell’aria che potenzialmente viene respirata dagli occupanti, può risultare sempre maggiore.
Nel corso dei cicli respiratori, il radon viene inspirato ma, in quanto gas nobile, non si deposita sulle pareti dell’apparato bronco-polmonare; infatti, viene in gran parte riesalato senza avere avuto il tempo di decadere ed emettere radiazioni.
Al contrario, gli elementi figli, essendo molto più reattivi e pertanto aggregati a particelle di fumo, polveri, goccioline di vapore acqueo, una volta giunti a livello bronco-polmonare si fissano ai tessuti.
Nel giro di circa mezz’ora cominciano a decadere e ad irradiare, emettendo radiazioni α ionizzanti, in grado di danneggiare il DNA delle cellule dell’apparato respiratorio.
La maggior parte dei danni al DNA viene riparata da appositi meccanismi cellulari. La probabilità che qualche danno possa persistere o non venga riparato, o venga riparato male, e possa quindi svilupparsi successivamente in un tumore polmonare è maggiore quanto maggiore è:
- la quantità di radon e dei suoi prodotti di decadimento inalata,
- la loro concentrazione media,
- la durata media alla loro esposizione.
Tale probabilità aumenta soprattutto se le cellule sono sottoposte anche ad altre sostanze cancerogene, in particolare a quelle contenute nel fumo di sigaretta (25 volte).
Numerosi studi epidemiologici hanno indotto l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), che è parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a classificare il Radon come cancerogeno per l’uomo.
Oggi il radon è considerato la principale causa di morte per tumore ai polmoni dopo il fumo di tabacco.
Da quanto riportato in precedenza, appare chiaro che la soluzione della problematica connessa alla radioattività da radon passa principalmente attraverso una limitazione drastica alla sua esposizione nelle abitazioni in generale, ma anche negli edifici pubblici, nelle scuole, nei luoghi di lavoro.
Mediante l’introduzione di nuove regole costruttive per gli edifici nuovi e di interventi strutturali mirati ed efficaci nel patrimonio edilizio esistente, l’obiettivo sembrerebbe a portata di mano.
Le azioni strumentali e pianificatorie di rimedio sono comunque molteplici e riguardano in generale:
- l’individuazione delle aree maggiormente critiche, laddove misure specifiche possono ridurre la produzione/concentrazione di gas radon elevata;
- l’individuazione di livelli di riferimento di sicurezza in ambiente confinato per limitare l’esposizione al radon;
- l’effettuazione di misure conoscitive negli edifici ubicati in aree critiche regionali;
- l’obbligo di tecniche costruttive adatte a prevenire l’ingresso del radon proveniente dal suolo e dai materiali da costruzione e il conseguente accumulo a livelli elevati negli edifici;
- l’obbligo di utilizzo di materiali da costruzione a contenuto di radionuclidi naturali limitato;
- sistemi di presidio atti a favorire il ricambio dell’aria interna e la conseguente riduzione della concentrazione del radon.
Totalmente in tale direzione sembrerebbero orientati gli interventi normativi adottati a scala europea (Direttiva 2013/59/EURATOM) e recentemente a scala nazionale (D.lgs. 101/2020) e regionale (L.R. 13/2019 e L.R. 26/2019).
Napoli, 30 aprile 2021