Il Congo tra passato, presente e futuro
Il Congo tra passato, presente e futuro
di Elvira Brunetti
Finalmente i quotidiani italiani s’interessano a quello che succede in Africa. Ci voleva l’uccisione di un nostro ambasciatore per entrare in empatia con la triste storia di questo continente.
E’ di solo qualche giorno fa la notizia dell’agguato in Congo nel quale Luca Attanasio è stato trucidato insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci, entrambi giovanissimi. Il convoglio era di tipo umanitario, il world food programme, dal momento che il diplomatico era anche un missionario che lottava tra l’altro contro “i bimbi soldato”.
Il luogo dell’accaduto è a nord di Boma, nel parco nazionale del Virunga quasi 8000 km quadrati, patrimonio mondiale dell’Unesco, dove vivono gli ultimi Gorilla di montagna, una specie in estinzione. Un polmone verde straordinario, minacciato da guerriglie continue, bracconaggio, deforestazione per lo sfruttamento delle molteplici risorse.
Il parco fu creato dai Belgi nel 1925 ed è tutt’oggi controllato e protetto dai rangers militarizzati a causa dell’alto rischio territoriale. Questi ultimi addestrati dagli antichi colonizzatori si affrontano spesso con i vari ribelli e predoni di turno.
Quello che comunemente si chiama Congo in realtà è costituito da due Stati con due capitali. Le due città godono di una posizione geografica unica al mondo. Situate sulle sponde del maestoso fiume che dà il nome al Paese: si guardano. Kinshasa, si estende lungo la riva sinistra ed è la capitale della Repubblica democratica del Congo (RDC), ex Congo Belga, grande 76 volte il Belgio. Brazzaville, la sua gemella dirimpettaia, si trova sulla riva destra ed è la capitale della Repubblica del Congo, ex Congo francese, di dimensioni molto inferiori. Un peccato che uno Stato tanto ricco di bellezze naturali dalla flora alla fauna, così imponente per la sua estensione, il secondo del continente dopo l’Algeria, non si sia ancora ripreso dai 60 anni della sua indipendenza. Esso è stato depredato dall’imperialismo europeo prima e sotto Mobutu anche statunitense, subendo di riflesso una sottomissione vergognosa. Solo per ricordare i tribunali belgi che obbligavano gli indigeni ai lavori forzati, infliggendo pene corporali assurde dal taglio della mano o del piede, per far lavorare il capofamiglia o il fratello, alla tortura dell’albero.
Il 1960 è stato l’anno dell’Africa, perché 20 Paesi fino a quel momento soggetti al colonialismo, hanno finalmente conquistato l’indipendenza nazionale. Tuttavia in molti casi si è trattato del passaggio verso un neo-colonialismo, rappresentato da governi-fantoccio, alleati di potenze straniere.
A Bruxelles sotto il re Baldovino, il primo presidente del Congo è Patrice Lumumba, considerato e osannato quale primo eroe nazionale, viene subito eliminato con ferocia indescrivibile. Il governo successivo si svolge sotto la dittatura di Mobutu, un generale corrotto per gli affari con le società minerarie internazionali, ma che riesce a tenere unito il Paese per più di 30 anni con la nazionalizzazione del tribalismo. Dopo di lui si apre un periodo di grossi disordini che continuano ancora. La causa “La Grande Guerra africana” come la definisce lo scrittore belga David van Reybrouck nel suo recente libro di 850 pagine: “Congo”. Si allude al genocidio perpetrato dagli Hutu contro la minoranza dei Tutsi. Un massacro a colpi di machete durato dal 1994 al 2002. Le date sono aleatorie. Nel 1998 scoppia la seconda guerra del Congo, che coinvolse ben 9 stati africani, ma il principale teatro delle operazioni restava sempre la RDC.
Presidente Patrice Lumumba
Il Ruanda, terra di origine di quel mostruoso conflitto umanitario è situato al confine orientale del Congo. E Boma, il luogo del nefando attacco all’ambasciatore italiano è nelle vicinanze.
Per tornare ai giorni d’oggi, diamo uno sguardo a Bruxelles e ai suoi giovani. E’ una città dove chi vive è a contatto continuo con i Belgi di origine congolese. Negli ospedali il tuo vicino di letto ha la pelle nera. Per strada le ragazze più curate nell’aspetto fisico sono giovani donne, ormai testimoni di generazioni vincenti non più oppresse dal giogo coloniale. Sui tram siedono accanto ai bianchi, richiamando la loro attenzione per il manicure perfetto o i capelli lunghi e lisci, pettinati all’ultima moda. Matongè, il quartiere loro pullula di negozi di bellezza, dove il colore della pelle è stato riscattato da una vincente emancipazione.
Eppure la memoria del passato resta, anche se glorificata in quell’opera straordinaria del Museo dell’Africa Centrale di Tervuren, in perfetta concorrenza con i due omologhi parigini il Quai d’Orsay e il Museo dell’Uomo, altrettanti esempi di quella necessaria decolonizzazione voluta, ambita e ahimè non riuscita. Nell’ampia rotonda del museo reale belga ci sono attualmente due opere di un artista contemporaneo Aimé Mpané. Sono due enormi teste umane in legno, che giacciono in un continuo e silenzioso dialogo, mentre tra di loro per terra c’è la corona di Leopoldo II. “Se il negro è un uomo”, forse la citazione è proponibile. Quello stesso re che alla fine dell’Ottocento per ben 23 anni sfruttò il Congo per arricchirsi nel commercio dell’avorio e della gomma. Ciononostante il trionfo architettonico e stilistico del sontuoso Palazzo reale di Bruxelles avvenne proprio durante il suo regno. Nondimeno la sua imponente statua equestre fu imbrattata e presa a sassate dopo l’episodio di George Floyd negli USA.
Tale è la preoccupante ondata degli strascichi della colonizzazione dalla polveriera africana che imperversa, all’intolleranza crescente, direi galoppante al ritmo dell’aumento demografico mondiale. Sì perché se il cambiamento climatico è diventato allarmante, lo è anche per l’aumento notevole dei consumi energetici; così gli episodi di violenza razzista e di discriminazione sono il risultato di un disagio sociale e di una crisi del lavoro.
Matongè forse si può considerare il quartiere ricordo del male e del bene, se si considera la convivenza e l’abbraccio razziale dei brussellesi, che la sera davanti ad un bicchiere di birra sorridono tutti uguali e felici. C’è un vicolo, una strada stretta che da Louise porta a Chaussée d’Ixelles. Ebbene là c’è una lapide sul muro di una casa. E’ il luogo di nascita della mitica Audrey Hepburn. Per non fare torto ad altre due figure famose in altri campi, Marguerite Yourcenar e Claude Levi Strauss, entrambi nati nella capitale di un piccolo, grande Stato.
Napoli, 1 marzo 2021