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Noi mendicanti di senso liberiamo la luce di Dio sepolta in noi.
di frate Valentino Parente

 


II Domenica di Quaresima (Anno B) – 28 febbraio 2021
Prima lettura (Gen 22,1-2.9.10-13.15-18)
Seconda lettura (Rm 8,31-34)
Vangelo (Mc 9,2-10)

 

maranathaCome ogni anno, la liturgia odierna, seconda domenica di quaresima, ci propone il passo della trasfigurazione di Gesù.

Quest’anno, lo fa seguendo la versione dell’evangelista Marco.

Per capire questo racconto dobbiamo fare un passo indietro.

Poco prima, nei pressi di Cesarea di Filippo, dopo la professione di Pietro che, a nome anche degli altri apostoli, lo aveva riconosciuto come il Cristo, cioè l’inviato di Dio, Gesù aveva cominciato a parlare apertamente con loro circa la sorte che lo attendeva a Gerusalemme, e cioè che “il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (8,31).

Ai discepoli sembra inaudita una cosa del genere, impossibile, inaccettabile. Tanto che Pietro, lo prende in disparte e comincia a rimproverarlo.

Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli”.

Perché proprio questi tre discepoli e non altri?

Perché “loro soli”? Erano i preferiti?

Esattamente il contrario!

Gesù ha appena annunciato la sua passione e, evidentemente, prendendo “in disparte” questi tre apostoli, vuole tranquillizzarli circa la sua passione. Ogni volta che l’evangelista utilizza questa espressione, indica l’incomprensione da parte dei discepoli. Evidentemente sono i più riottosi del gruppo.

Sono tre i discepoli ai quali Gesù ha messo un soprannome negativo: Simone chiamato “Cefa/roccia” ad indicare la sua durezza a capire.

Giacomo e Giovanni, chiamati “Boanérghes” cioè figli del tuono, evidentemente per la loro indole piuttosto indomita.

Sono quelli più resistenti, più duri ad accettare che la vicenda di Gesù debba risolversi in un fallimento, ma anche i più influenti nel gruppo dei dodici.

E proprio questi tre discepoli saranno i testimoni privilegiati di almeno altri due eventi della vita di Gesù: della risurrezione della figlia di Giairo, e della preghiera di Gesù nel Getsemani.

E così, “dopo sei giorni” dall’annuncio della sua passione, morte e risurrezione, Gesù prende questi tre discepoli e li porta con sé sul monte, una collina di circa 600 metri, tradizionalmente identificato con il monte Tabor, al centro della valle di Izreel, in Galiea, e li rende testimoni4655_180 di un momento importante della sua esistenza terrena.

Quasi per dire loro che quel Gesù che sta andando a Gerusalemme e che vedranno maltrattato e ucciso è lo stesso che ora vedono avvolto dalla sua gloria. È come una potente iniezione di fede, di fiducia, nella persona di Gesù e nelle sue scelte.

A conferma di tutto ciò, i tre fortunati discepoli, sentono anche la parola del Padre che dice loro: “Ascoltatelo!”.

Era la stessa voce che, trent’anni prima, presso il fiume Giordano, aveva presentato Gesù come Figlio amato, oggetto del compiacimento divino.

Adesso, però, con una aggiunta: “Ascoltatelo!”. Dio Padre, dice ai discepoli, angosciati, preoccupati, in qualche modo, ribelli: “Ascoltatelo!”.

Anche se vi ha proposto una strada difficile, quella è la strada giusta, ascoltatelo!, fidatevi di lui, obbedite, come ha fatto Abramo.

4838_180E i discepoli nella trasfigurazione sono consolati, confortati, incoraggiati ad affrontare il cammino della passione, si fidano di quello che ha detto Gesù, accettano la garanzia offerta da Dio Padre, e anche se non capiscono, lo seguono.

Ogni anno, nella seconda domenica di quaresima, mentre il Vangelo ci presenta l’episodio della trasfigurazione, la prima lettura, ci propone la figura di Abramo, l’uomo che Dio ha scelto, l’uomo che ha obbedito.

Abramo è l’uomo dell’alleanza, è l’uomo che accetta di essere l’amico di Dio, si fida di Dio, anche quando gli chiede la cosa peggiore che poteva immaginare, offrirgli in sacrificio il figlio Isacco.

Il senso di questo racconto, non è quello di mostrare un Dio sanguinario che vuole sacrifici umani, ma esattamente l’opposto.

Dal momento che al tempo di Abramo, circa 1800 anni a.C., le varie culture dell’ambiente orientale, avevano la prassi del sacrificio umano, la teologia di Israele insegna che Dio non vuole la morte, non vuole sacrifici umani, non vuole quel tipo di culto cruento.

Infatti nel momento in cui Abramo alza la mano, per uccidere il figlio, il Signore dall’alto lo blocca e gli dice: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».

Io ti ho dato questo figlio per la vita, perché tu abbia una discendenza numerosa come le stelle del cielo.

Quel racconto serve quindi per eliminare ogni tentazione di sacrificio umano e di violenza religiosa.

trasfCome nel diluvio non è la violenza che risolve il problema del peccato, così nel racconto del sacrificio di Isacco, o della legatura di Isacco, come la chiamano gli ebrei, c’è l’affermazione che non è la violenza che risolve il problema.

In contrasto con questo racconto, nella seconda lettura, San Paolo ci dice che Dio Padre “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi”.

Ha fermato la mano di Abramo, ma ha lasciato che il figlio Gesù andasse fino in fondo nell’offerta totale della propria vita. Non ha risparmiato il proprio Figlio, lo ha consegnato per noi. Quella è l’unica morte che redime, che salva.4587_180

Ma nemmeno quella morte è voluta da Dio, sono gli uomini, malvagi, che hanno voluto la morte di Gesù, e Gesù l’ha accettata, non perché voleva la morte, ma perché voleva essere fedele, voleva dimostrare un amore grande, capace di dare tutto, compresa la vita, per amore degli uomini.

Proviamo a pensare, per un attimo, cosa vuol dire consegnare un figlio alla morte per salvare qualcun altro.

Proviamo a immaginare quanto deve essere grande l’amore che ci vuole per quel qualcun altro al punto da accettare di perdere il proprio figlio.

È una cosa enorme! Probabilmente nessun uomo e nessuna donna sarebbe in grado di dare il proprio figlio per amore di qualcun altro.

indexQui c’è un amore divino che rivela una grandezza infinita, rivela la passione che Dio ha per noi: ha sacrificato il proprio Figlio per noi, senza che noi ce lo meritassimo.

Se ha già fatto questo, come non farà tutto il resto? Possiamo ancora dubitare di Dio? Possiamo ancora non fidarci di Lui?

Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?

 

Nola, 27 febbraio 2021