È meglio essere cristiano senza dirlo, piuttosto che proclamarlo senza esserlo.
È meglio essere cristiano senza dirlo, piuttosto che proclamarlo senza esserlo.
di frate Valentino Parente
XXVI domenica tempo ordinario – anno A – 27 settembre 2020
Visualizza Ezechiele 18, 25-28 Filippesi 2, 1-11 Matteo 21, 28-32
Solitamente la liturgia della Parola della Messa domenicale, cioè l’insieme delle tre letture e del Salmo, segue un tema unico, che viene sviluppato nella prima lettura e nella pagina del vangelo, mentre la seconda lettura, quasi sempre segue un percorso a parte.
Il tema della parola di Dio di oggi è quello della conversione ovvero della responsabilità personale nella salvezza.
Questa salvezza è certamente tutta opera di Dio, dono gratuito di Dio all’uomo.
Ma, e questo è il messaggio di oggi, essa è anche frutto della nostra collaborazione e della nostra libertà.
Questa tematica della responsabilità, viene sviluppata nel corso di alcune domeniche, attraverso la narrazione di parabole che mostrano la reazione di Israele di fronte alla predicazione di Gesù.
La prima di queste parabole è quella dei due figli, diversi fra di loro, diversi negli atteggiamenti, nelle parole e nelle opere.
A questi due figli il padre dice di andare a lavorare nella sua vigna.
Il primo risponde di no, però poi, ci ripensa e va a lavorare nella vigna.
Il secondo, a parole dice di sì, ma nei fatti, non compie nulla di ciò che il padre gli ha chiesto.
I1 figlio che dice no e fa si, rappresenta coloro che un tempo vivevano fuori della legge e della volontà di Dio, ma poi, ascoltando l’insegnamento di Gesù, si sono ravveduti e hanno accolto il vangelo.
Mentre il figlio che dice si e fa no, rappresenta coloro che conoscevano Dio e seguivano la sua legge, ma, quando si è trattato di accogliere la buona notizia del vangelo, si sono tirati indietro.
I destinatari di questa parabola sono chiaramente gli ebrei, in modo particolare, Gesù si riferisce ai capi del popolo.
L’evangelista, infatti, dice che Gesù raccontò questa parabola “ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”, evidentemente per mostrare loro che la vera fedeltà al Signore non consiste nell’osservanza esteriore delle leggi ma nell’adesione del cuore al suo insegnamento.
Al termine del racconto, Gesù chiede ai suoi ascoltatori: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Risposero: «Il primo»”.
La risposta è chiara. Anche a noi pare così.
La volontà del padre l’ha compiuta il figlio che ha fatto quello che il padre gli ha chiesto, non certo quello che ha detto “si” solo a parole ma poi non è andato nella vigna.
E poi, con durezza, rivolto ai suoi ascoltatori, afferma: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”.
Gesù sta parlando alle autorità di Israele e dice: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti” cioè entrano nel regno di Dio, prima di voi.
Non perché sono peccatori, ma perché si sono convertiti! Gesù si riferisce alla missione di Giovanni Battista.
Infatti i pubblicani e le prostitute, dice Gesù, ascoltando gli ammonimenti del Battista, hanno smesso di essere peccatori, hanno preso sul serio il suo insegnamento, hanno cambiato vita e hanno accettato il regno di Dio.
Voi, invece, capi religiosi, non vi siete nemmeno pentiti per potergli credere.
Il punto fondamentale è dunque il pentimento, cioè il dolore che si prova per lo sbaglio commesso; se non si riconosce di aver sbagliato non si può provare neppure dolore.
E questo è il punto decisivo: non c’è cambiamento, non c’è accoglienza del regno, se non ci si riconosce peccatori e non si cambia.
Non basta dire di sì con la bocca se poi, nelle opere, non c’è una corrispondenza.
Il discorso che Gesù rivolge ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo è un discorso di ammonimento e di rimprovero.
Infatti gli ebrei – e in particolare i farisei – hanno sempre creduto di essere i figli prediletti del Padre, gli “operai della prima ora”, come si diceva domenica scorsa, e pensavano che il Messia, venendo, avrebbe semplicemente ratificato la situazione: da una parte loro, i privilegiati, il figlio che aveva detto di sì al padre, destinati sicuramente alla salvezza, e dall’altra parte tutti gli altri, pagani e peccatori, che fino ad allora avevano detto di no a Dio.
Ma Gesù non sembra essere per niente d’accordo e rimette tutto in questione. E dice che la salvezza non è un privilegio di pochi, magari riservato solo ai “figli di Abramo”, ma è una porta aperta a tutti. In un’altra occasione, senza mezzi termini, dirà: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).
Non ci sono privilegi, né corsie preferenziali: la salvezza, oltre che dono gratuito di Dio, è anche il risultato di una scelta personale, che si concretizza nell’atteggiamento di accoglienza di Cristo e del suo messaggio.
Diceva Sant’Agostino: Colui che ti ha creato senza di te, cioè senza che tu l’abbia voluto, non ti salva senza che tu lo voglia.
Questo discorso ci interpella molto da vicino, perché la parabola che Gesù ha raccontato ai capi di Israele, vale anche per noi, oggi.
Essa ci deve far riflettere attentamente.
Per molti aspetti, anche noi siamo nelle stesse condizioni di spirito degli ebrei.
Noi siamo il figlio cui Dio si è rivolto per primo chiamandolo a lavorare nella sua vigna, cioè nella Chiesa. Noi siamo coloro che hanno detto una volta di sì.
Abbiamo detto di sì con il battesimo e con gli altri sacramenti, e quanti altri «sì» impliciti abbiamo detto nella nostra vita!
Ma spesso a questo «sì» non corrisponde la realtà dei fatti! Infatti quante volte abbiamo promesso di cambiare vita…
Quante volte nella confessione ci siamo riproposti di non cadere più in questo o quel peccato…
E invece ecco che, magari da anni, confessiamo sempre le stesse cadute… Sembra quasi che a certi peccati ci siamo… affezionati!
Facciamo fatica a liberarcene. O, forse, non facciamo neppure più lo sforzo di liberarcene…
E il rischio è che riteniamo di essere “a posto” solo perché siamo battezzati e cristiani, senza nessun altro impegno di vita.
Ma Gesù ci dice che non ci si salva perché battezzati, cristiani, o perché non ci perdiamo mai una Messa o una processione, ma ci si salva solo ed esclusivamente se rispondiamo con gioia alla chiamata di Dio, se accogliamo con gioia l’invito di Gesù ad una quotidiana conversione.
La Confessione e l’Eucaristia sono aiuti che il Signore ci dona per rendere possibile la conversione, per facilitare il nostro cammino di crescita nella fede.
Impegniamoci dunque a far seguire i fatti alle parole, la pratica alla teoria, la vita quotidiana ai principi teorici.
Impegniamoci a non essere solo cristiani… della domenica, ma cristiani della quotidianità, della ferialità, perché questo è il banco di prova della nostra fede.
Diceva sant’Ignazio di Antiochia: “È meglio essere cristiano senza dirlo, piuttosto che proclamarlo senza esserlo”.
Nola, 25 settembre 2020