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Affondare per lasciarsi afferrare

di frate Valentino Parente

 

 

 

 

“Io ho sperato nel Signore
contro ogni speranza
ed egli si è chinato su di me
ha ascoltato il mio grido”.

Salmo 40

 

 

XIX domenica del tempo ordinario, anno A. 9 agosto 2020

visualizza Mt 14,22-33

 

A19-LDomenica scorsa abbiamo iniziato la lettura del cap. 14 del vangelo di Matteo, con il miracolo della moltiplicazione dei pani.

Tale narrazione si concludeva con la scena dei discepoli che portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati.

Possiamo immaginare la gioia degli apostoli e l’euforia della folla per il miracolo al quale avevano assistito: pochi pani e due pesci avevano saziato la fame di alcune migliaia di persone, e ne era pure avanzato!

Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù ha un’ondata di grande successo, è diventato un mito. L’entusiasmo della gente per Gesù era alle stelle.

L’evangelista Giovanni, aggiunge che la folla, “visto il segno che aveva compiuto, voleva farlo re”.

Era bello dunque indugiare e comprensibile il desiderio degli apostoli di volersi trattenere ancora un po’ per gioire insieme di quanto era accaduto.

Invece Gesù (e qui, il vangelo di oggi) ordina ai discepoli di salire in barca e precederlo al­l’altra riva.

Gesù li deve costringere a salire sulla barca mentre lui avrebbe congedato la folla.

Sembra quasi di vedere la scena: gli apostoli che vogliono trattenersi ancora con la folla mentre Gesù li costringe a salire sulla barca e lui stesso la spinge verso il largo…

Anche Gesù ha bisogno di un po’ di calma e di tranquillità.

Inoltre ricordiamo che gli era appena stata annunciata la morte di Giovanni Battista e quindi, umanamente, il dolore lo aveva preso e aveva intuito in quella tragica fine del precursore un annuncio della sua prossima fine.

Congedata la folla, Gesù sente il bisogno di stare un po’ da solo e si ritira in preghiera, in solitudine.

Ha bisogno anche lui di un momento di quiete. Così si ritira sulla montagna e passa la notte in preghiera.

La barca intanto distava già diverse miglia da terra ed era agitata dalle onde.

Dall’alto del monte, Gesù immerso nella preghiera non dimenticò i suoi discepoli. Sembra quasi che li vedesse lottare faticosamente con il vento contrario e con le onde per raggiungere la 5387terraferma.

Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sulle acque.

Gli apostoli avevano remato da soli tutta la notte, avevano dato fondo a tutte le loro forze, avevano messo in campo tutta la loro esperienza, per tenere la barca a galla in mezzo ai flutti tempestosi… 

Sul finire della notte”, ecco Gesù che “andò verso di loro camminando sulle acque”.

Gesù venne verso la fine della notte, non prima; venne quando la prova era al colmo e la stanchezza pure; quando tutto sembrava doversi risolvere con le proprie forze, nella lontananza e nel silenzio del Maestro.

Gesù lasciò che gli apostoli remassero contro vento per tutta la notte e usassero tutte le loro risorse prima di intervenire.

Quando siamo allo stremo delle forze, quando abbiamo messo in gioco tutte le nostre forze, quando ci siamo adoperati con tutto ciò che è umanamente possibile, ecco che interviene Dio. Sembra quasi voglia dirci: voi fate tutto ciò che potete, tutto ciò di cui siete capaci. Al resto ci penso io.

C’è l’espressione di un Salmo (salmo 46) che, parlando della “città di Dio”, dice che “Dio la soccorrerà prima del mattino”.

Dio è colui che sempre ci soccorre, ma… allo spuntare dell’alba.

Gesù che cammina sulle acque è una immagine simbolica importantissima, perché nel libro di Giobbe (9,8) si dice che Dio è l’unico, il solo, che può camminare sulle onde del mare. Inoltre nel mondo semitico il mare era simbolo del male, le acque erano una realtà non dominabile.

Il fatto che Gesù cammini sulle acque dice il suo potere sul male, su ciò che non si può dominare. Dicono la sua realtà divina.

“Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura»”.

 È una paura pienamente comprensibile. Per i discepoli, che evidentemente non avevano ancora capito chi è veramente Gesù, era assurdo credere che un uomo potesse camminare sulle acque, senza essere Dio.

Loro credono che Gesù sia veramente un inviato di Dio, un profeta, uno nel quale agisce la presenza di Dio, ma che Gesù sia Dio, ancora non l’hanno compreso e fanno enorme fatica a comprenderlo.

9006Quindi pensano che sia uno spirito perché è impossibile per l’uomo avere la condizione divina. Dio era talmente distante dagli uomini che immaginare che si potesse manifestare in una creatura umana per loro era inconcepibile.

Ma subito Gesù parlò loro dicendo: Coraggio, sono io.

Meglio: “Io sono”.

Io sono è il nome di Dio, è il nome con il quale Dio si è rivelato a Mosè nel famoso episodio del roveto ardente (Es 3,14).

Quindi Gesù si identifica con Dio in persona confermando la sua condizione divina. Pertanto può rassicurare i suoi: “Coraggio, non abbiate paura”.

Tutti gli evangelisti raccontano questo episodio, ma solo Matteo aggiunge l’intervento di Pietro, il quale si appella alla dichiarazione di Gesù “Io sono”, per chiedergli di seguirlo camminando sulle acque

Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Gli manifesta l’intimo desiderio di seguirlo, di stare con lui in ogni circostanza, anche le più difficili.

E Gesù lo invita: “Vieni!”.

Pietro scende dalla barca e… comincia a camminare sulle acque.

Ma “per la violenza del vento”, vedendo le difficoltà, “si impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”.

La situazione di Pietro dimostra chiaramente che la fede in Gesù non è esclusivamente ragionevolezza o intimo desiderio.

Credere è osare, è fidarsi di ciò che non si vede.

Chi osa credere è sorretto da colui nel quale crede. 

Il racconto è fortemente didascalico, cioè finalizzato all’insegnamento di una verità: il comportamento del discepolo che chiede l’aiuto di Gesù, riconoscendolo come Signore, mostra l’atteggiamento corretto di ogni discepolo.

Nelle necessità, nelle situazioni pericolose della nostra vita, che non siamo capaci di affrontare da soli, l’atteggiamento corretto è: “Signore, salvami!”.

E “Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede perché hai dubitato?»

Per la seconda volta, Gesù rimprovera Pietro di essere “uomo di poca fede”.

La prima volta questo rimprovero gli era toccato insieme a tutti gli apostoli, i quali, nonostante avessero Gesù sulla barca con loro, ebbero paura di affondare a motivo di una forte tempesta (Mt 8,26).

 “Appena saliti sulla barca, il vento cessò”.

Quando nella comunità c’è la presenza di Gesù ed è lui a guidare, a dirigere la comunità, le ostilità cessano.

La presenza di Gesù col suo gesto e con il suo dominio sugli elementi – il vento improvvisamente cessa – fa uscire i discepoli dalla “poca fede” ed essi professano una fede piena nel Signore: gli si prostrano davanti e riconoscono in lui non più solo l’agire di Dio, ma la stessa condizione di Dio: «Davvero tu sei figlio di Dio!».

Da notare che il verbo “prostrarsi” appartiene a un contesto esclusivamente liturgico: indica l’inchino profondo che si fa con tutto il corpo e che, nel culto, è riservato solo al Signore.

Quella notte i discepoli hanno fatto una esperienza forte di Dio. Una esperienza di Gesù che ha forma divina ed è in grado di salvare.

I primi cristiani vi leggevano in questo episodio una raffigurazione di quella che era la loro situazione: Gesù non era più con i suoi, si era, per così dire, congedato dalla folla,  e aveva spinto la barca della sua Chiesa nel mare del mondo.

Ben presto la Chiesa comincia a sperimentare i flutti contrari delle prime persecuzioni…

Per cui quando le prime comunità ascoltavano questo vangelo, ne traevano soprattutto una certezza: il Maestro non è lontano neppure adesso; basta invocarlo ed egli scenderà dal monte e verrà in soccorso della sua Chiesa.

Questa fiducia si basava su una certezza fondamentale: Gesù è risorto e vivo. 

È la stessa consolante realtà che dobbiamo leggervi noi cristiani di oggi. Gesù è sempre vivo e presente nella sua Chiesa e basta invocarlo per avere il suo aiuto ma, non prima di aver “remato tutta la notte”. 

Diceva Sant’Ignazio di Loyola: Prega come se tutto dipendesse da Dio e lavora come se tutto dipendesse da te

Napoli, 7 agosto 2020