I Beni Comuni e il Bene Comune
I Beni Comuni e il Bene Comune
di Martino Ariano
“La disperazione più
grave che possa
impadronirsi
di una società è
il dubbio che vivere
onestamente
sia inutile”
Corrado Alvaro
Come spesso accade nei nostri tempi, idee e analisi datate, ci vengono vendute come nuove e originali, come quando si parla di bene comune.
Partiamo dalle parole di Vittorio Bachelet: “I principi perenni del bene comune, che non sembrano stabilmente incarnarsi in una concreta comunità politica, rischiano di apparire astrazioni o, al massimo, un codice di leggi scritte in cielo e non sulla terra dei figli degli uomini”.
Così osservava il grande giurista nel 1964, quando incitava a riflettere sull’esigenza di una educazione che fosse “sempre più sensibile ai concreti contenuti storici che l’evolversi della convivenza umana viene dando all’ideale concreto del bene comune”, affrontando le “nuove scoperte dell’esperienza della società che si trasforma”, in vista di “un bene comune più compiutamente realizzato nella nuova situazione storica”.
Nei decenni successivi, il concetto di bene comune è restato un codice di leggi scritte in cielo.
Da qualche anno a questa parte, il bene comune si è affacciato sulla terra dei figli degli uomini, annunciato da numerosi ecosacerdoti e sindaci messianici.
In controtendenza ci piace sentire Primo Mazzolari che usa l’espressione associandola alla libertà come bene di tutti: “E c’è questo di grave, che i beni comuni non si possono spartire. Spartisci il sole, se puoi. E se ti metti all’impresa, perché l’uomo tende a possedere per proprio conto, noncurante degli altri, o prendi più di quanto ti spetta o defraudi addirittura l’altro di ciò che è suo”.
La prima conclusione è che non tutti i beni sono uguali, ve ne sono alcuni che si legano alla vita umana e sociale, mentre ve ne sono altri che hanno un valore commerciale.
Inoltre i beni comuni non sono solo indispensabili, ma sono lo strumento per costruire la comunità.
Ecco il punto che voglio cogliere per ragionare dei beni comuni.
L’ideologia del mercato, tende a semplificare, tutto ha un prezzo ed è merce.
Il problema di fondo è la salvaguardia della complessità.
La semplificazione è frutto di un’ideologia che omologa e illude.
Il mercato tende a promuovere un materialismo di fondo per il quale ogni realtà è sullo stesso piano, comprabile e vendibile.
La riprova di ciò che dico?
Esempio da manuale, il ricorso ai condoni, pago con una multa la mia immoralità che trova così un risarcimento.
L’introduzione della multa ha fatto nascere un mercato dei condoni, che come una merce si può acquistare pagando.
Il fatto poi che l’abusivismo non è cessato dimostra che una volta che un bene diventa merce, vi rimane per sempre e che quando un bene comune inizia ad essere pagato, si giustifica la pretesa di abuso: posso sprecare acqua perché tanto la pago.
Non sono ecosacerdote, ma vi invito a riflettere su tre cose.
Uno: beni differenti rimandano a logiche sottostanti differenti.
I beni comuni spingono a creare reciprocità tra gli uomini. I beni economici sono oggetto di scambio. I primi creano ben-essere, i secondi solo ben-avere.
È falso che i beni comuni debbano essere partecipati in un contesto unidimensionale come il nostro, dove tutti i beni sono valutati in base ad un prezzo.
La finalità dei beni è invece quella di essere partecipati, sono stati creati per essere condivisi.
Come nella pubblica amministrazione, che ha assunto ormai la logica aziendale finendo per confondere l’efficienza dei processi produttivi con i processi decisionali.
Il pericolo è di valutare la trasparenza attraverso internet, posso monitorare le prestazioni e delegare. Il cittadino finisce per diventare un cliente e un consumatore, ma è estromesso dai processi decisionali e dal dibattito pubblico.
Due: alcuni beni non sono riducibili a merce.
Come non tutti i valori sono negoziabili. La domanda sorge spontanea:”Quali sono i beni comuni e quali no?”.
In primis sono l’ambiente naturale e l’ambiente umano. Il dovere di rispettare l’ambiente come bene collettivo, attraverso l’esigenza di rispettare l’integrità della natura e di porre al servizio di tutta l’umanità le risorse energetiche.
L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere.
Prendiamo l’acqua, essa è un diritto universale e inalienabile.
Universalità significa che tutti gli uomini hanno bisogno d’acqua per vivere, inalienabilità significa sottrarla al mercato, che mercifica ogni cosa.
Tre: i beni comuni devono essere gestiti in una logica partecipativa, in contrasto al predominio di quella contrattuale, garantendo gratuità e condivisione nella loro gestione.
L’internazionalizzazione dell’economia e della finanza, ha provocato la ritirata del decisore politico di fronte alle pressioni di liberalizzazione del mercato, a vantaggio di attori privati che hanno preso il sopravvento.
Sulla terra dei figli degli uomini si combattono guerre per l’accaparramento e la privatizzazione delle risorse energetiche.
Fantini, in “Acqua privatizzata?”, a proposito dell’acqua, scrive: “Le pratiche in cui si concretizzano i processi di privatizzazione dell’acqua, sembrano indicare come questi non rappresentino la semplice vittoria del mercato sullo Stato, ma un processo più complesso che modifica le relazioni tra economia e politica e ridefinisce le frontiere tra pubblico e privato, all’insegna dell’ambivalenza e della confusione di ruoli, dell’incertezza istituzionale e normativa, e dell’esercizio di un “governo indiretto” incentrato su strutture e intermediari privati, alleanze economiche e reti di influenza. Si tratta dunque di una trasformazione non solo dell’economia, ma anche e soprattutto della politica e delle forme di sovranità statale”.
Il vero radicalismo della nostra epoca, sta nel riconoscere che il bene comune è il bene che, superando l’appetito individuale, libera e unisce tutti.
Insomma siamo capaci di porre al centro del dibattito pubblico, che la posta in gioco non è il guadagno di alcuni, ma il futuro che costruiremo insieme?
Madrid, 14 gennaio 2023