Il nuovo inizio. L’incontro con il Risorto (frate Valentino Parente)
Il nuovo inizio. L’incontro con il Risorto.
di frate Valentino Parente
…”Camminava per via come un compagno di viaggio,
anzi era lui che li conduceva. Quindi lo vedevano,
ma non erano in grado di riconoscerlo.
I loro occhi – abbiamo così inteso -
erano impediti dal riconoscerlo.
Erano impediti non di vederlo
ma di riconoscerlo”…
(Agostino, Sermone 235)
Domenica 26 aprile 2020. Vangelo di Luca, cap. 24, versi 13-35
Il vangelo di questa terza domenica di Pasqua, ci fa fare un passo indietro e ci riporta alla sera stessa del giorno della resurrezione.
L’evangelista Giovanni, ci racconta come quello fu un giorno estremamente movimentato.
A cominciare “di buon mattino”, dal cammino frettoloso delle donne verso la tomba per ungere il corpo di Gesù, al loro ritorno di corsa, verso il Cenacolo, dove erano riuniti gli Apostoli, per portare la notizia del sepolcro vuoto…
Da qui subito si misero in movimento Pietro insieme all’altro discepolo, (l’altro discepolo è lo stesso Giovanni, apostolo ed evangelista) “correvano tutti e due…”; successivamente raggiunti da Maria Maddalena, questa rimane al sepolcro, ma dopo l’apparizione del Signore Risorto, “andò subito” (possiamo immaginare il passo affrettato) ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore”.
Quando la giornata sembra ormai finita, ecco un’altra corsa: quella dei due discepoli di Emmaus, che “senza indugio”, e, certamente, anche con una certa fretta, tornano a Gerusalemme per annunziare di aver visto il Signore Risorto…
Ed eccoci sulla strada che da Gerusalemme scorre verso Emmaus, distante circa 11 km.
Per questa strada ritornavano al loro villaggio, due discepoli di Gesù, che, tristi e delusi, parlavano tra loro di quanto, in quei giorni, era successo a Gerusalemme, cioè della vicenda di Gesù e di come si era tristemente conclusa.
Lungo il cammino, Gesù in persona, si affiancò a loro “ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”.
Il dolore attanaglia la loro anima. Sono incapaci di riconoscere Gesù. Il loro stato d’animo è come un macigno che non permette di elevare lo sguardo oltre il dolore e lo sconforto.
È interessante notare come non basta vedere il Risorto per raggiungere la fede.
I due discepoli conoscevano bene Gesù, lo incontrano Risorto ma non lo riconoscono. Gli parlano ma non si accorgono che è lui.
È la situazione di tanta umanità cieca. Ma anche di tanti cristiani che ancora oggi, non riescono a riconoscere il Signore presente nella loro vita.
E Gesù chiese loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo lungo il cammino?”.
Uno dei discepoli, con volto triste, rispose dicendo: “Solo tu sei così forestiero in Gerusalemme, che non conosci ciò che vi è accaduto in questi giorni?”.
Oggi ci verrebbe voglia di dirgli: Ma in che mondo vivi?… Possibile che non ti rendi conto di ciò che sta succedendo?… Di quanta miseria c’è in giro?… Possibile che non vedi il baratro verso cui sta andando l’uomo?…
Ed è a questo straniero, che i due discepoli vuotano il sacco delle loro delusioni, raccontando allo sconosciuto compagno di viaggio tutta quanta la vicenda di Gesù “che fu profeta potente in opere e parole (…) come i capi dei sacerdoti lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.
Noi speravamo che fosse lui colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò son passati tre giorni…”.
Quanta tristezza, delusione, amarezza, in queste parole: “Noi speravamo… sono passati tre giorni…”.
Evidentemente, ora non lo sperano più, motivo per cui se ne tornano al loro villaggio, delusi e amareggiati.
Hanno chiuso con Gesù, nonostante riconoscono che “alcune donne, delle nostre, (…) son venute a dirci di aver avuto una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo”.
Ma essi restano chiusi nel loro dolore e nella loro delusione, perché il Maestro… non ha rispettato le loro attese!
Chissà cosa avrebbe risposto Gesù, alla loro (e alla nostra) delusione: Anche io speravo che voi… che tu… saresti stato più fedele…più responsabile…meno egoista…più attento al bisogno dell’altro… E invece… Sono passate tante occasioni…
E con santa pazienza Gesù “cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”.
Doveva essere un bravo maestro Gesù, di quelli che incanta con la sua parola, con il suo modo di fare, con la sua presenza…tanto che, successivamente, i discepoli, confesseranno l’uno all’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre Egli conversava con noi lungo la via?”.
E così giungono al villaggio. È il momento di separarsi.
Ma il cammino con quello straniero aveva dato loro speranza, le sue parole avevano riscaldato il loro cuore.
E quando Gesù “fece come se dovesse andare più lontano, essi insistettero: Resta con noi, perché si fa sera.
Ed Egli entrò per rimanere con loro”. Un accorato invito a prolungare quella ristoratrice e confortante conversazione, che scendeva come un balsamo rigenerante nei loro cuori e nella loro vita.
Notiamo che l’evangelista non dice dove entrò Gesù. Noi diamo per scontato che sia entrato in casa, è la cosa più ovvia!
Ma forse l’intento del narratore è più profondo: vuol dire che Gesù entrò nella loro vita, entrò dentro la loro coscienza, nei loro cuori, per rimanervi.
Quella Parola ormai è dentro il loro cuore, ha messo radici nella loro vita.
Ma l’incontro vero, intimo, doveva ancora avvenire.
“Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista”.
Gesù si mette a tavola con quei due discepoli e ripete un gesto particolare, un gesto che i discepoli ben conoscevano, il gesto dello spezzare il pane… Un gesto che significa donazione, offerta, vita donata, amore senza limiti… Gesù non dà più solo la sua parola, ma tutto se stesso nascosto in un pezzo di pane.
Ci sono persone care che riconosciamo da lontano e dopo tanto tempo, magari da un solo gesto, da una sola parola, con cui ci sono rimaste impresse.
Gesù si fa riconoscere da quel gesto ormai identificativo della sua persona: «lo spezzare del pane»: “Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”.
I due discepoli finalmente riconoscono il loro Maestro, risorto, e con entusiasmo, senza indugio, tornano indietro, riprendono di corsa il cammino verso Gerusalemme, per annunciare agli altri quello che loro stessi hanno visto “e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane”.
L’evangelista Luca divide il suo racconto in tre momenti, quasi tre atti di una rappresentazione scenica.
C’è il momento dell’andata a Emmaus, il momento del ritorno da Emmaus e in mezzo, l’incontro con il Risorto e la gioia che questo incontro comporta.
Il primo momento ci rappresenta benissimo: tristi, sfiduciati, delusi di tutto, persino di Gesù. E così lasciamo… Gerusalemme – la frequenza alla Chiesa, la preghiera, la devozione – per ritornare al nostro disimpegno. È il fenomeno di tanti cristiani… nascosti – forse anche troppo!
Come è diverso invece, per i due discepoli, il loro ritorno a Gerusalemme: con il cuore colmo di gioia, esultanti, ardenti di entusiasmo, con un annuncio da dare.
Qui, purtroppo, siamo rappresentati pochissimo, perché ci manca il momento intermedio: forse non abbiamo vissuto l’incontro con il Risorto!
Eppure ci cammina accanto, cammina sulle nostre strade, si accompagna a noi, ci spiega le Scritture, spezza il suo pane per noi… Perché non lo vediamo? perché non lo riconosciamo? Perché, direbbe l’evangelista, i nostri occhi sono annebbiati, ci manca la fede.
I nostri gesti, il nostro pregare, il nostro andare a Messa la domenica, è diventato solo una abitudine, gesti ripetitivi, automatici… Siamo abituati più a… dire le preghiere che a pregare.
Impegniamoci dunque a rimettere la Parola di Dio al centro della nostra vita: è l’unica Parola che può ridare speranza ai nostri cuori, senso alla nostra vita.
E questa diventi il portale di accesso all’Eucaristia: impegniamoci non tanto a fare la Comunione, quanto piuttosto fare comunione col Signore.
Inoltre teniamo presente che la Parola ha un grande vantaggio sulla stessa Eucaristia.
Alla comunione si possono accostare solo quelli che già credono. Alla parola di Dio invece si possono accostare tutti, credenti e non credenti.
Anzi per diventare credenti, il mezzo più normale è proprio quello di ascoltare la parola di Dio.
Napoli, 24 aprile 2020