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Covid19. Cronaca e insegnamenti della diffusione e degli stati d’animo

di Pasquale Falco

 

 

“… il mondo sta aspettando che qualcuno venga e lo cambi
Sì, sii il giovane, il coraggioso, il potente
…abbiamo bisogno di un’anima che ci salvi.
Abbiamo bisogno di qualcuno che sia il migliore
James Blunt, The greatest

Il COVID 19, ci ha anche insegnato qualcosa?

La storia è maestra di vita (Historia magistra vitae), scriveva Cicerone.

Oggi, più che mai, è legittimo ritenere che si debba trarre insegnamenti da utilizzare nel mondo che verrà, quando si dovessero ripresentare nuove e similari condizioni.  

Proviamo qui a delimitare i contorni della racconto di questo maledetto viruss, che ha cambiato il mondo così come lo abbiamo narrato sino ad ora.

La pandemia ha colto il Bel Paese un po’ di sorpresa, è giunta all’improvviso, dalla lontanissima Cina.

È la globalizzazione bellezza!

All’inizio della sua diffusione nel Celeste Impero, pur coinvolgendo sempre più i cinesi, era lontana dalla nostra realtà quotidiana.

uomo nuovoAgli italiani non interessava più di tanto, prima o dopo sarebbe passata, indisturbata, nell’oblio nazionale quanto meno.

In quei momenti di sconforto per la popolazione coinvolta, in ogni caso abbiamo sentito il dovere di mostrare ai Cinesi quei caratteri del nostro essere, figli della humanitas latina, quali l’amicizia e la vicinanza nei loro confronti

II nostro Presidente Mattarella non ha esitato a manifestarlo per iscritto al suo omologo cinese e ad andare in visita nei centri e nelle scuole del nostro Paese, dove maggiore è la presenza di lavoratori e studenti cinesi.

A nostro modo, stando vicini a loro, abbiamo contrastato il convincimento che il popolo cinese fosse l’untore del momento.

Ironia della sorte, i primi ammalati a casa nostra sono stati proprio una coppia di cinesi in visita turistica in Italia.

Poi abbiamo scoperto che la principale causa di contagio nostrano proveniva da una consorella europea, la Germania, che aveva sviluppato, contemporaneamente e separatamente da quello cinese, un suo ceppo.

In contrasto con questa evidenza, ovviamente, risultano le teorie complottiste, a sentir dire, attuate dalla Cina, che aveva manipolato in un laboratorio internazionale, sotto l’egida anche francese, il virus e che poi lo stesso fosse arrivato nell’ambiente esterno a seguito di un errore.

Una seconda cattiva notizia racconta che il virus, stavolta, proveniente da un laboratorio statunitense, sia stato trasportato volutamente da militari a stelle e strisce in Cina in occasione di un evento sportivo militare internazionale, per sabotarne, o quanto meno rallentarne, l’economia.

Ritornando alla cronaca di casa nostra, ironia della sorte ha voluto che ad essere diventati gli appestatori universali fossimo diventati noi, perché sembrava che l’epidemia avesse attecchito in Europa solamente da noi

Infatti, subito dopo la Cina e la Corea del Sud, risultata una meteora nel sistema planetario covid 19, con un numero inizialmente rilevante di ammalati, prontamente stoppato, grazie alla individuazione rapida anche degli asintomatici, è stato il nostro turno.

Mentre i contagiati aumentavano a dismisura giorno dopo giorno, così come i deceduti, per i quali l’ultimo commiato e trasporto delle spoglie ha necessitato file lunghissime di camion militari, è stato il nostro turno di combattere, su scala planetaria, contro il virus, da soli.

Sono state assunte misure drastiche, con la chiusura di buona parte delle attività economiche, delle scuole, con l’adozione del distanziamento sociale e del lavoro da casa dove possibile.

Gli esperti ci informavano che, graficamente, la distribuzione dei contagiati non doveva assumere la forma di una campana ma doveva assomigliare ad un bacile rovesciato, il cui plateaux sommitale doveva attestarsi al di sotto della linea che indicava, in termini di posti letto, il numero massimo di ricettività delle nostre sale di terapia intensiva.

Nel nostro Paese, il morbo ha mostrato la sua virulenza in modo differenziato, coinvolgendo le regioni centro settentrionali in modo parossistico, mentre molto più lieve è risultata l’azione di contagio al centrosud.

Ed è stato questo il momento in cui, si è verificato il fenomeno migratorio al contrario, durante il quale migliaia di meridionali, facendo vincere l’atavica nostalgia di casa propria a fronte di un più razionale senso di responsabilità di limitazione del contagio, si sono spostati con ogni mezzo verso il sud.

Siano stati emigranti, restati senza lavoro a seguito delle limitazioni sulle attività economiche, siano stati studenti delle università settentrionali rimaste chiuse, si è aperta una caccia alle streghe contro quelli di loro che, una volta giunti nei luoghi natii, non hanno adottato tutte le misure prescritte.

È stato, però, anche il momento in cui alle richieste di ulteriori medici ed infermieri, proprio nei luoghi più colpiti, ci sono state adesioni in numero inimmaginabile provenienti dalle restanti parti del Paese.

È stato il momento in cui si combatteva lo scoramento collettivo e si ringraziavano i sanitari per lo sforzo disumano che stavano profondendo, col canto e con la musica dai balconi, dalle finestre, dalle terrazze, e con gli slogan del “se restiamo uniti e rispettiamo le regole, andrà tutto bene”.

È stato questo il momento in cui, idealmente, con un rinnovato orgoglio ed amor patrio, ci siamo sentiti uniti in un popolo solo, che sostiene i malati e quelli chiamati a combattere in prima linea con il proprio lavoro.

È stato così il momento delle file ordinate ai supermercati, del rispetto delle distanze interpersonali, tutto questo al netto del pulcinella di turno impegnato in un non ben definito balletto attorniato da una quindicina di annoiati sfaccendati e delle grigliate collettive sul terrazzo con tanto di fuochi d’artificio, prodotti da quel senso mai sopito di trasgressione delle regole.

È stato poi il momento in cui agli aiuti direzionati verso le zone più bisognose di risorse sanitarie, si è aggiunta la solidarietà, in tutto il Paese all’interno delle singole comunità locali, verso i più bisognosi, i più indigenti, con raccolte e distribuzione di generi di prima necessità.

Via via che il contagio si diffondeva provocando l’isolamento del nostro Paese, è giunta qualche attestazione europea, ufficiale ancorché semplicemente verbale, di una vicinanza ideale, ma arrivavano, come segni tangibili di solidarietà e di vincoli di fraterna amicizia, i sanitari e gli aiuti albanesi, cinesi, cubani, americani filantropici e russi, anche se con annesse polemiche sullo status di militari di questi ultimi.

Quindi è arrivato il momento in cui, a lockdown avviato, per far fronte al momento emergenziale di difficoltà economiche di tantissimi lavoratori senza lavoro, famiglie, imprenditori, sono state approntate a livello nazionale delle misure economiche proporzionate alle finanze italiane di questo periodo storico.

Ci si è resi subito conto, allora, che il Paese necessitava di concreti aiuti finanziari da parte della Unione Europea.

Ebbene, gli Organi di governo comunitari, non hanno potuto tacere che diversi Paesi, Olanda, Austria, Germania, membri della sedicente Comunità, consideravano l’epidemia in atto un problema esclusivamente italiano: ad essa l’Italia doveva far fronte con le sole sue forze.

A nulla sono servite le richieste di aiuto, reiterate anche con insistenza: i Paesi economicamente forti riaffermavano il principio che in Europa l’aspetto finanziario è totalmente prevalente rispetto a quello solidale.

A quel punto ci si è interrogati sul vero significato dell’Unione Europea, e sul concetto reale di solidarietà.

Se nel momento del bisogno, nel momento di concedere che il più debole deve ricevere un aiuto e il più forte deve concederlo, e, al contrario, si innalzano barriere fatte di criteri economici, di percentuali, di rispetto dei parametri di fuori bilancio e di rispetto del debito pubblico.

Se in un momento così drammatico della vita sanitaria, sociale, economica di un Paese, quelli che hanno fissato in patti e trattati di unione, voltano le spalle, non si siedono ai tavoli decisionali, abbandonano il bisognoso al proprio destino, allora sarebbe lecito concludere che una tale limitata Unione addirittura non avrebbe proprio ragione di esistere.

Vengono, infatti, tanti dubbi sull’ essenza dello stare insieme, emerge che non si sta partecipando alla costruzione di qualcosa di ambizioso, ma solo ad un sistema economico che favorisce gli scambi, la libera circolazione di merci, persone e capitali che devono fruttare interessi a doppie cifre, senza percettibili sviluppi nel raggiungimento di logiche di fratellanza, di solidarietà, di aiuto al più debole. Si prospettava agli occhi lo spettro della Grecia, patria della filosofia e della democrazia e prima culla della civiltà occidentale, svenduta ai Paesi ricchi dell’Unione.

Costretta da questi a pagare costi sociali inauditi, tagli di pensioni, di stipendi, tagli allo stato sociale, per rifondere interessi da strozzini, per restituire alle banche quei capitali, risultati indispensabili a superare la propria crisi economica e continuare ad esistere come Paese.

Un futuro ancora più fosco si prospettava per quella che è stata la seconda culla della civiltà occidentale.

Mentre invocavamo e speravamo in aiuti che non arrivavano, il virus si è presentato subdolamente anche in Spagna,coronavirus-2-1 presumibilmente favorito nell’ innesco dal dio pallone e dal connesso dio danaro, vedi Atalanta-Valencia, andata e ritorno di Champions League, tipici di questa società economico-politeistica

Nel Paese iberico, poi, ha iniziato ad imperversare, favorito dal ritardo nell’assunzione di valide misure di contrasto.

L’esempio dell’Italia evidentemente non era stato tenuto nel debito conto. Allo stesso modo, pure in Germania, Francia, Gran Bretagna fresca di brexit, dove il morbo si è espanso con la solita virulenza.

In poco tempo il numero di contagiati della prima ha superato il nostro, quello della seconda si è avvicinato di molto e quello della terza e quarta è divenuto comparabile.

A questo punto, la generalizzata diffusione del virus in buona parte dei Paesi europei poteva contribuire a far riconsiderare la problematica degli aiuti solidali, tanto più che la platea delle Nazioni che li richiedevano si era di molto ampliata.

In questo scenario il Paese dei tulipani e la locomotiva dell’Europa ancora resistevano su posizioni finanziarie rigidissime.

L’Olanda mostrava in quel momento un numero limitato di contagiati rapportato alla sua popolazione e non aveva adottato grandi misure di distanziamento sociale.

La Germania invece, con una politica sanitaria più avveduta e incisiva all’apparire dei primi sintomi, conseguiva risultati assolutamente sorprendenti ed encomiabili.

I tedeschi riuscivano, infatti, a limitare al minimo europeo il numero di decessi e ottenevano un numero di guarigioni impressionante se paragonato a quello degli altri Paesi.

In tutto questo aveva anche concesso un aiuto concreto con le sue potenti strutture sanitarie, ospitando decine di contagiati gravi della nostra Bergamasca.

Con l’evidente raggiunto controllo dell’epidemia, la Germania ha cominciato a pensare alla ripresa. È stato in questo preciso momento che si sia verificata una inversione di tendenza.

La tedesca Volskwagen, comunicava la impossibilità a ripartire, dal momento che la indispensabile componentistica, proveniente dall’Italia, mancava a causa del blocco delle attività attuato nel nostro Paese.

Nel paese dei tulipani, invece, le attività florovivaistiche lamentavano la perdita totale della produzione rimasta invenduta a causa delle difficoltà economiche del mercato europeo ed extraeuropeo.

L’Unione europea è giunta così al convincimento, generalizzato ma non unanime, che occorresse invertire la direzione, i Paesi colpiti dal coronavirus andavano aiutati economicamente.

Ecco che allora le ragioni economiche, strumento per garantire il benessere dei popoli, devono andare di pari passo con la solidarietà verso gli ultimi.

Un Paese florido, se aiuta, si fortifica ancora di più, in quanto la sua maggiore ricchezza gli deriva dagli scambi commerciali che può instaurare con il Paese, originariamente più debole, che il primo ha contribuito a rendere più ricco a sua volta.

Insomma, la solidarietà fa rima con ritorno sia spirituale che economico per quelle ricadute vantaggiose che si genereranno per entrambi gli attori.

Con l’autolesionismo tipico delle intelligenze miopi, i nostri rappresentanti politici hanno rimarcato la loro contrapposizione in modo strumentale, confermando le leggi della fisica: due forze uguali e contrarie, si annullano a vicenda.

Hanno avuto il coraggio di sovvertire le regole della matematica: una forza più una forza non fanno due forze, ma fanno zero forze.

Tutti contro tutti e ognuno in ordine sparso nei palazzi a Roma e nella sede del Parlamento europeo.

Nel frattempo è giunto anche il momento delle polemiche.

Sulla gestione della crisi sanitaria con costose strutture ospedaliere allestite inutilmente.

Sulla constatazione dei tagli indiscriminati effettuati negli anni di spending review alle spese sanitarie che hanno annichilito l’efficienza degli ospedali.

Sul trasferimento di malati Covid nelle RSA, Residenze Sanitarie Assistite, facendole divenire residenze-lager in cui le regole sanitarie sono state totalmente disattese e dove sono state assistite solo le dipartite di oltre il 30% dei dissacrati ospiti.

Sulle schermaglie tra Governo centrale e i Governatori regionali sul palleggio delle decisioni e responsabilità.

Sulle opinioni diverse  sulla tempistica e modalità della ripresa, con minaccia di chiusure dei propri confini regionali in caso di ripartenze avventate.

In tutta questa confusione, è passata quasi sotto silenzio una notizia importantissima: il lockdown più o meno generalizzato ha prodotto un netto miglioramento della qualità dell’aria e delle acque, grazie alle limitate quantità di inquinanti nelle emissioni in aria e negli scarichi nelle acque.

Addirittura circolano in rete immagini satellitari in cui si riscontra il miglioramento netto nelle aree metropolitane e filmati che mostrano una qualità delle acque del mare mai riscontrata in tempi normali.

È questa la riprova che i guasti ambientali, a livello locale e globale, hanno in modo univoco dei colpevoli, le attività antropiche condotte al di fuori delle regole.

In conclusione, possiamo affermare che il COVID, oltre a tante ambasce e perdite, ci ha lasciato insegnamenti preziosi e profondi, che sono sotto gli occhi di tutti.

Non sono però insegnamenti ad apprendimento automatico.

Stanno lì nelle esperienze della vita individuale e collettiva, nella storia di tutti i giorni e nei libri di Storia, ma stanno là a disposizione di singoli e di comunità di buona volontà, che devono solo manifestare la voglia di apprenderli e metterli in pratica.

Napoli, 29 aprile 2020