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Reddito di cittadinanza. Per saperne di più.

di Martina Tafuro

Ken Loach, celeberrimo regista britannico, ha diretto nel 2016 Io, Daniel Blake (I, Daniel Blake), film vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2016. Il film racconta la storia di Daniel Blake, un carpentiere di Newcastle di 59 anni, che in seguito a una grave crisi cardiaca, per la prima volta nella sua vita, è costretto a chiedere un sussidio statale. Il suo medico gli ha proibito di lavorare, ma a causa di incredibili incongruenze burocratiche si trova nell’assurda condizione di dover comunque cercare lavoro, pena una severa sanzione, mentre aspetta che venga approvata la sua richiesta di indennità per malattia. Durante una delle sue visite regolari al centro per l’impiego, Daniel incontra Katie, giovane madre single di due figli piccoli che non riesce a trovare lavoro. Entrambi stretti nella morsa delle perversioni amministrative della Gran Bretagna di oggi, Daniel e Katie stringono un legame di amicizia speciale, cercando di darsi sostegno e aiutarsi come possono in questa situazione molto complicata.

Un welfare state in grado di fornire sostentamento economico a tutti, indipendentemente dal reddito e dalla disponibilità a lavorare è un’idea antica e affascinante, ma mai realizzata. Perché? Come funziona?

Stefano Toso, professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’Università di Bologna, nel 2016 ha pubblicato: “Reddito di cittadinanza. O reddito minimo?”, per il Mulino. Il libro si prefigge di offrire al lettore una panoramica, quanto più esauriente possibile, circa la natura e i problemi del reddito di cittadinanza.

Servendosi anche dei contributi di altri studiosi, che si sono occupati, in modi e per motivi diversi del tema in questione come: Richard Titmuss, Gøsta Esping-Andersen, Anthony Atkinson, Milton Friedman, James Meade e l’ Agathotopia, John Rawls e i surfisti di Malibu, per citarne solo alcuni.

Nel dipanarsi, già, delle prime pagine, Toso,  illustra cosa sia il reddito di cittadinanza. Lo identifica come il supporto economico corrisposto individualmente e in maniera non selettiva a tutta la cittadinanza, distinguendolo dal reddito minimo, ovvero la garanzia di una soglia di introito minimo per tutti i cittadini in condizione di povertà o quasi povertà, per garantire la quale lo Stato opererebbe la necessaria ridistribuzione delle risorse. L’autore, evidenzia che la distinzione tra reddito di cittadinanza e reddito minimo, va mantenuta “come chiave di lettura per esaminare i pro e i contro del reddito di cittadinanza”, ma tenendo ben presente che essa “non va estremizzata”.

La necessità, impellente, di pensare ad un nuovo tipo di welfare state, ci costringe a riflettere giocoforza fra universalismo e selettività.

La maggior efficacia e semplicità gestionale dell’universalismo sono le caratteristiche che rendono il reddito di cittadinanza più appetibile, ma il maggior costo per le casse dello stato costringe a cercare un compromesso sul reddito minimo, che così potrebbe essere ridistribuito ai meno abbienti, risparmiando risorse.

Così facendo, si otterrebbe maggior rispetto della privacy, evitando quelle situazioni umilianti, come quelle descritte da Ken Loach in Io di Daniel Blake, che sempre più di frequente caratterizzano i nostri sistemi selettivi di welfare.

Viene poi rappresentata una ricostruzione della genesi del reddito di cittadinanza in termini di storia del pensiero, attraverso la disanima di concetti quali dividendo sociale, imposta negativa sul reddito e reddito di partecipazione.

Il reddito di partecipazione fra tutti, è il concetto più interessante fra i suddetti, trattandosi di un reddito di cittadinanza da limitare a chi contribuisce alla società attraverso il suo lavoro, risolvendo, in un certo senso, il tema dei surfisti di Malibu.

I surfisti di Malibu, free-rider o lavoratori?

Ci sono persone che, anziché lavorare, preferiscono passare il loro tempo a fare surf nelle acque di Malibu. Bella vita mi direte.

Ipotizziamo che in una società si decida di erogare un servizio di pubblica utilità, ad esempio l’assistenza sanitaria, in forma gratuita. Ciascun individuo, se in stato di necessità, riceverà assistenza senza dover pagare nulla. Il servizio viene finanziato per mezzo di una tassa che colpisce tutti i soggetti che lavorano, poiché se un individuo non lavora, non ha i mezzi per contribuire al sistema sanitario.

I surfisti di Malibu, non lavorando, beneficiano del sistema senza contribuire…consumano il bene pubblico senza produrlo e quindi pagare la tassa.

Il loro costo viene sopportato dalla società nel suo complesso, infatti il servizio viene comunque offerto, ma la sua sostenibilità finanziaria deve essere assicurata incrementando le tasse dei contribuenti lavoratori. Il loro beneficio è ancora presente, ma a un costo superiore rispetto a quello di equilibrio.

Il problema qui è che il free-riding non può essere risolto. O, meglio, non c’è un interesse collettivo a risolverlo. Se infatti la società decidesse di escludere dall’accesso gratuito al servizio sanitario chi non lavora, colpirebbe non soltanto i surfisti di Malibu che non lavorano per scelta, ma anche tutti quei soggetti che non lavorano, perché non possono o perché non trovano occupazione… nasce la diseguaglianza.

Quello che qui preme sottolineare è che nessun individuo può escludere che si troverà, un giorno nella sua vita, nelle condizioni di non poter lavorare. Se il timore di trovarsi nelle condizioni degli ultimi è elevato, allora è bene curarsi del benessere di chi sta peggio, perché anche noi potremmo, un giorno o l’altro, perdere il lavoro.

Insomma, individui razionali cercano di migliorare il più possibile la condizione di chi sta peggio mirando, egoisticamente,  a cercare la soluzione più equa moralmente.

Il terzo capitolo introduce le ipotesi originate facendo una sintesi tra reddito di cittadinanza e reddito minimo, alla ricerca di un nuovo “universalismo selettivo”, neologismo che “implica la coesistenza tra un principio universalistico, ossia l’irrilevanza di qualsiasi variabile categoriale ai fini del diritto all’accesso, e l’applicazione della prova dei mezzi per selezionare la platea dei beneficiari”. Fondamentali sono le numerose pagine dedicate dall’autore per illustrare principi e funzionamento del reddito minimo nel resto d’Europa e nel corso della storia, evidenziando successi e fallimenti, con particolare attenzione al rischio di “trappola della povertà” per tali istituti.

Un capitolo è inoltre dedicato alla situazione del nostro Paese, affrontando esperimenti, proposte e iniziative politiche, non trascurando nemmeno gli aspetti di più di stringente attualità.

Grande attenzione è poi dedicata agli istituti di sostegno sociale e al reddito degli enti locali.

Dal libro emerge, la critica ai modelli di workfare (modello alternativo al classico welfare state, di natura puramente assistenziale, che consiste piuttosto in politiche di welfare attivo finalizzate ad evitare gli effetti disincentivanti sull’offerta di lavoro, collegando il trattamento previdenziale allo svolgimento di un’attività di lavoro)  e al ricorso ai means testing (prova dei mezzi: Verifica della condizione economica dell’individuo, accertamento dell’incapacità) nel welfare state attuale.

Cercare di risolvere questi problemi non può che essere una meta condivisa da coloro che hanno a cuore il tema dell’uguaglianza.

 Napoli, 22 ottobre 2018