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Perché dobbiamo nazionalizzare le nostre autostrade. Il 20 ottobre tutti in piazza a Roma

Dopo la tragedia del ponte Morandi, torna prepotentemente il tema del pubblico contro il dogma delle privatizzazioni le quali hanno soltanto portato profitti ai privati e peggiorato la qualità dei servizi. Per questo sabato 20 ottobre a Roma ci sarà una manifestazione, lanciata da USB e Potere al Popolo e a cui aderiscono altri movimenti come Senso Comune: una battaglia fondamentale per un effettivo cambiamento nel Paese. Qui le ragioni per esserci.

di Paolo Gerbaudo*

La tragedia del crollo del ponte Morandi lo scorso 14 agosto a Genova, con il suo tragico bilancio di 43 morti, grida vendetta contro gli effetti deleteri della privatizzazione dei servizi pubblici. A partire dagli anni ’90 governi di centrosinistra e centrodestra hanno fatto a gara a svendere pezzi fondamentali del patrimonio pubblico. Con la scusa che lo stato fosse per sua natura inefficiente e che i privati fossero necessariamente più efficienti: la ormai nota retorica del “carrozzone pubblico” sprecone. Tuttavia in Italia, e in molti altri paesi, come la Gran Bretagna e la Francia dove cresce la domanda di nuove nazionalizzazioni, ci si è ormai resi conto che questo argomento è fallace. I servizi privatizzati si sono spesso dimostrati più inefficienti e più costosi di quando erano sotto controllo pubblico. Gli unici a guadagnarci sono stati grandi imprenditori e gli investitori capaci di rastrellare facili profitti da servizi essenziali di cui i cittadini non possono fare a meno, a dispetto del prezzo e dell’effettiva qualità del servizio.

Il caso delle autostrade, per la cui nazionalizzazione è stata indetta una manifestazione sabato 20 ottobre con partenza da Piazza della Repubblica – lanciata da USB e Potere al Popolo e a cui aderiscono altri movimenti come Senso Comune – è emblematico del fallimento della “stagione delle privatizzazioni”. La “modernizzazione” che doveva essere portata dalla cessione totale o parziale delle grandi imprese di stato, dall’Ilva alla Telecom, dall’Alitalia a Eni e Enel si è tradotta in una evidente regressione per l’economia del nostro paese. L’artefice della privatizzazione delle autostrade, fu l’ex presidente del consiglio, fondatore dell’Ulivo e presidente della Commissione Europea Romano Prodi: l’autoproclamato “Re delle privatizzazioni” che già ai tempi dell’IRI aveva messo le basi per privatizzare le più importanti compagnie pubbliche. Nel 1996 fu il suo primo governo, accolto con speranza da molti a sinistra dopo la fine del primo governo Berlusconi, a avviare l’iter per la privatizzazione delle autostrade. L’obiettivo ufficiale era abbattere il debito pubblico in modo da consentire l’entrata dell’Italia nell’euro. Ad acquistare la rete autostradale fu la cordata da Schemaventotto S.p.A. che si assicurò il 30% del capitale e in cui figuravano una serie di compagnie tra cui Edizione Partecipations di Gilberto Benetton al 60%, la Fondazione CRT, Acesa, Assicurazioni Generali e Unicredito Italiano.

In totale tra questa cessione, e la vendita di azioni sul mercato borsistico, l’IRI che era proprietaria di autostrade, incassò 13.800 miliardi di lire, una cifra che oggi molti considerano incongrua rispetto al valore effettivo e alle possibilità di profitto della rete autostradale. Secondo un’analisi della Corte dei Conti del 2010, la stagione delle privatizzazioni non fu conveniente per lo stato. Nel rapporto si segnalavano “una serie di importanti criticità, che vanno dall’elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni”.

La vendita di beni dello Stato – fra cui le autostrade – non è giustificabile nemmeno con la asserita necessità di ridurre il debito pubblico. Come sostenuto da Matteo Bortolon su il manifesto “Ridurre il debito pubblico attraverso le privatizzazioni è insensato”, vista la differenza di scala tra i circa 110 miliardi di euro che si stima siano stati ottenuti in totale dalle privatizzazioni, e i 2.300 miliardi di euro a cui ammonta oggigiorno il debito pubblico italiano. Privatizzare ha pure privato lo stato di imprese ad alta redditività, che avrebbero potuto costituire una fonte sicura di introiti per le casse dello stato. Sicuramente per molti politici è stata una decisione fatta in buona fede per quanto difficile da comprendere ideologicamente specie per politici post-comunisti come D’Alema e Bersani. Ma non mancano casi lampanti di conflitti di interesse tra politica e economia, come visto nel caso di Gianmaria Pietro-Gros, che nel 1999 da presidente dell’IRI vendette la maggioranza di Autostrade alla cordata guidata dai Benetton e tre anni dopo fu nominato presidente di quella che poi diventerà Atlantia.

A partire dalla privatizzazione, e in particolare dopo la cessione nel 2003 della maggioranza delle quote alla compagnia Atlantia S.p.A. controllata al 30% dalla famiglia Benetton attraverso la Sintonia S.p.A., si è assistito a un progressivo peggioramento del servizio e aumento dei pedaggi. Come sostenuto da Simone Gasperin e Mariana Mazzucato in un articolo uscito recentemente su la Repubblica le tariffe sono aumentate di circa due volte tanto l’inflazione e il rapporto tariffe-investimenti ha assunto un segno negativo. Grazie all’aumento dei pedaggi Autostrade è riuscita a accumulare la cifra stellare di 15 miliardi di euro di utili in 10 anni: il 150% della somma a cui Autostrade è stata ceduta dallo Stato nel 1999 (oggi varrebbe 10.5 miliardi di euro tenendo in conto l’inflazione)!

Inoltre si è assistito a un calo significativo degli investimenti, con manutenzioni essenziali che sono state spesso rimandate, talvolta con conseguenze tragiche. Se oggi la nostra mente è occupata dal crollo del ponte di Genova, spesso ci dimentichiamo di altri casi in cui Autostrade S.p.A. ha gravi responsabilità. Come l’incidente di Avellino del 28 luglio 2013 in cui 40 persone persero la vita, quando il bus su cui viaggiavano cadde da un viadotto. I periti del processo hanno evidenziato la responsabilità di Autostrade nel pessimo stato del guard-rail che non ha trattenuto il mezzo. Il procuratore di Avellino Rosario Cantelmo ha affermato durante il processo che l’incidente non sarebbe avvenuto “se Autostrade avesse semplicemente adempiuto al suo dovere contrattuale”.

Tali negligenze dovute al desiderio di ridurre al minimo i costi, sembrano anche essere la causa principale del crollo del ponte Morandi. Secondo Carmelo Gentile docente del Politecnico di Milano sentito come persona informata dei fatti per le indagini sul crollo di Genova, la Spea Engineering – società controllata da Autostrade per l’Italia e incaricata di manutenzioni e monitoraggi e per cui Gentile lavorò come consulente – non condusse controlli sufficientemente approfonditi sullo stato del ponte. Gentile sostiene che se avesse avuto tutte le informazioni necessarie quel ponte sarebbe stato immediatamente chiuso e la tragedia si sarebbe potuta evitare. Una dimostrazione di quello che succede quando controllato e controllore sono a loro volta controllati dalla stessa società privata. Autostrade più care, meno sicure e più difficili da gestire. Questo è il risultato vero della tanta celebrata stagione delle privatizzazioni.

Per queste ragioni è necessario chiedere la nazionalizzazione di autostrade, come misura urgente per garantire sicurezza a tutti i viaggiatori, ma anche come primo passo per una campagna più complessiva di ri-nazionalizzazione dei servizi pubblici essenziali. Su questo tema c’è già un ampio consenso nella popolazione, come suggerito da un sondaggio telefonico condotto da Sky Tg24, nei giorni dopo il disastro di Genova, secondo cui l’81% degli italiani sono favorevoli alla nazionalizzazione delle autostrade. Molti cittadini, trasversalmente agli steccati ideologici si sono ormai resi perfettamente conto che la favola del privato efficiente/pubblico sprecone è stata solo una scusa della classe politica per giustificare la svendita di pezzi importanti del servizio pubblico ai privati. Combattere per la nazionalizzazione di autostrade può rappresentare una grande opportunità per riportare sotto controllo della collettività anche altri importanti servizi pubblici. Cominciando da Telecom Italia, che da quando è finita in mano ai privati è entrata in declino e continuando con Alitalia, una compagnia di bandiera di cui un paese votato al turismo come il nostro ha assoluto bisogno.

In questo ritorno di una domanda diffusa di nazionalizzazione dei servizi pubblici, l’Italia non è sola. Dalla Gran Bretagna dove una ampia maggioranza del paese, tra cui figura anche una maggioranza degli elettori conservatori, è a favore della rinazionalizzazione del servizio ferroviario, alla Francia, dove Jean-Luc Mélenchon ha proposto di rinazionalizzare i servizi di energia e trasporti la questione della nazionalizzazione sta ritornando al centro del dibattito politico. Nel caso dell’Italia esiste anche un’immediata opportunità politica aperta dalle dichiarazioni, fatte a seguito del crollo del ponte Morandi, da esponenti del governo tra cui il ministro dei trasporti, Danilo Toninelli in cui si prometteva la nazionalizzazione di autostrade. Promesse a cui il governo non ha dato seguito, per le divisioni tra i 5 Stelle e la Lega che continua a difendere i grandi imprenditori. Per questo è essenziale che ci sia una grande mobilitazione su questo tema. Per mettere il governo con le spalle al muro rispetto alle promesse di nazionalizzazione. E mettere sul tavolo la necessità di una nuova stagione di nazionalizzazione dei servizi essenziali per rimediare a una stagione di privatizzazioni che ha provocato solo danni per il paese e disservizi per i cittadini. Ci vediamo il 20 ottobre, alle 2 a piazza della Repubblica a Roma, per chiedere autostrade pubbliche e sicure per tutti.

* Senso Comune