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Saluti.
di Giulia Di Nola

Addio, espressione più definitiva e decisa d’ogni altro saluto e che nasce da una particolare forma idiomatica: “A Dio ti raccomando”.

In seguito, col raddoppiamento sintattico, “A Dio” è divenuta “addio” svuotandosi pure del suo senso originario, prettamente religioso e acquistandone uno laico di rammarico o rimpianto per qualcosa che s’è persa o alla quale si deve rinunciare a malincuore: “addio sogni” oppure “siamo in ritardo, addio”.

Con le leggi del raddoppiamento lessicale anche lo “Arrivederci” proviene dalla forma arcaica “A rivederci”.

Tanti, comunque, i modi di salutarci tra cui annoveriamo pure quelli che, normalmente, chiosano una missiva o un’ e-mail, come il nostro “cordiali saluti” che, nello specifico, sta a significare saluti che sgorgano dal cuore (in latino cor, cordis).

Ma il più italiano e mondiale dei saluti è “ciao”, il simpatico saluto che caratterizza la lingua parlata e scritta e che dal lontano settecento accompagna le nostre conversazioni.

In molte commedie goldoniane una forma di devoto saluto era “schiavo vostro”, in veneto “sciavo vostro”, trasformatasi in “sciavo vostro”.

Col susseguirsi dei secoli il “sciao” varcò i confini veneti per approdare in Lombardia, regione abitata da persone pratiche e gente sbrigativa che, presto, troncò la “s” di “sciao” per dar vita al nostro rinomato “ciao” che tutto il Pianeta conosce e se ne è appropriato.

Meglio, dunque, d’un “addio”, solenne e per certi versi melanconico, il “ciao”, saluto amichevole e confidenziale, è il primo che insegniamo ai nostri figli, il primo che non si scorda mai!

Napoli, 18 ottobre 2018