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Dibattere del reddito di base è di nuovo attuale?

di Martina Tafuro

Nella sua ultima relazione:”Employment and Social Developments in Europe“, la Commissione Europea analizza le criticità occupazionali e sociali per l’Unione europea e i suoi Stati membri.

In particolare, l’edizione 2018 si concentra sulla evoluzione, occupazionale e sociale, nel mondo lavoro.

In un contesto di contrazione della popolazione in età lavorativa nell’UE, le innovazioni tecnologiche che aumentano la produttività diventano sempre più cruciali, ma cambiano anche l’organizzazione della produzione di beni e servizi e il mondo del lavoro.

L’automazione comporta una nuova gestione economico/sociale del capitale, in particolare nel settore manifatturiero e per compiti di bassa competenza e attività di routine. L’avvento di nuove tecnologie innovative fanno emergere nuove forme di lavoro non standardizzate, in grado di consentire una riorganizzazione dell’orario di lavoro e dello spazio più flessibile.

La nuova visione del capitale, le nuove forme di lavoro sollevano criticità rispetto a: contrazione degli impieghi a tempo pieno, irrigidimento delle assicurazioni sociali, potenziali perdite di posti di lavoro e diminuzione della qualità del lavoro.

Il lavoro atipico, diventa così, una sfida per l’organizzazione e il finanziamento dei meccanismi di protezione sociale, poiché costringe a mutare il modo tradizionale/autoreferenziale di rappresentare gli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ ambito del dialogo sociale.

D’altra parte, la mutata relazione tra lavoro e capitale fa emergere: aumento della produttività, creazione di nuovi posti di lavoro, facilitazione dei percorsi di inclusione lavorativa e un rinnovato equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. Si avverte, quindi, l’urgenza di investire in istruzione e promozione delle competenze, per ridurre i rischi derivanti dagli sviluppi tecnologici e per ridistribuire i tanti benefici ottenuti.

Non dimenticando che, le separazioni poste in essere dai sistemi di protezione sociale devono essere ripensate al fine di fornire una protezione inclusiva. Molte persone che lavorano, però, sono ancora povere! Pur osservando che, le nostre economie continuano a creare nuovi posti di lavoro e le famiglie si ritrovano con più reddito disponibile.

Le analisi statistiche ci dicono che dal 2012 al 2015, nella maggior parte degli Stati membri c’è stato un calo della quota di persone a rischio povertà o esclusione sociale, raggiungendo in Europa il 23,7% (circa 119 milioni di persone) della popolazione totale, il livello più basso dal 2010.

La relazione però sottolinea che “anche se sono stati compiuti progressi, povertà e disuguaglianza rimangono troppo elevati – soprattutto per alcuni gruppi della società (ossia i minori e le minoranze)”. Insomma sono cresciute le situazioni di disagio sociale a cui, giocoforza, se ne collega un’altra: il lavoro non protegge più dal rischio povertà.

Anche se in tutta l’Unione europea, i lavoratori a tempo pieno sono relativamente ben protetti dalla povertà, la povertà dei lavoratori è aumentata da circa una su dieci persone, prima della crisi, a una su otto.

Durante il periodo della crisi economica (tra il 2008 e il 2013) nella maggior parte degli Stati membri, pur assistendo all’incremento dell’utilizzo di contratti temporanei la velocità di passaggio ai contratti a tempo indeterminato è peggiorata.

Nello stesso lasso di tempo, a livello europeo, “la probabilità di passare da un contratto di lavoro temporaneo a uno permanente è diminuito del 4,6%”.

Anche per questi motivi, specifica l’Eurostat, nonostante l’Unione europea abbia registrato il suo quarto anno di ripresa economica (Commissione Europea, 2016), l’attuale situazione resta una grande sfida per la politica, impegnata a combattere la povertà e garantire l’inclusione sociale. All’interno di questo quadro si inseriscono anche forti disparità dei redditi, spiega ancora l’Ufficio statistico dell’Unione europea.

Il dibattito, divenuto centrale, sulle disuguaglianze, sulla povertà, sulle criticità del welfare state e sui rischi temuti per le possibili conseguenze della nuova rivoluzione tecnologica, hanno spinto diversi politici, studiosi, organizzazioni pubbliche e privati a sostenere l’idea di un reddito di base.

Elon Musk, amministratore delegato della Space Exploration Technologies Corporation e a capo dell’azienda automobilistica Tesla Motors è, ad esempio, uno dei sostenitori della misura.

Anche Bill Gates, presidente di Microsoft, ha aperto alla possibilità dell’applicazione di un reddito di base, pur specificando che è ancora troppo presto.

Si tratta comunque di un dibattito articolato e con molte posizioni anche contrarie da considerare.

Il Parlamento europeo lo scorso febbraio ha bocciato la proposta di prendere in considerazione una forma di reddito di base, avanzata dal membro del parlamento europeo Delvaux-Stehres in vista dei possibili effetti negativi dell’automazione nel mercato del lavoro.

Barack Obama, ex presidente degli Stati Uniti d’America, in un’intervista, riferendosi all’importanza di ridisegnare il patto sociale in vista delle nuove sfide che la società deve affrontare a partire da quelle del lavoro, aveva detto: “Se un reddito universale è un giusto modello - verrà accettato da un’ampia parte della popolazione? -, questo è un dibattito che faremo da qui ai prossimi dieci, venti anni”.

Il reddito di base è un’idea che implica un cambiamento radicale del modo di pensare la società, il welfare e il rapporto tra uomo e lavoro, perché il salario non diventa più l’unica via per la propria esistenza.

C’è chi come Gianfranco Sabattini, nel suo libro Riforma del Welfare state, spiega che la misura segnerebbe il passaggio da un’etica del lavoro a un’etica della solidarietà “tra chi lavora e chi non riesce a percepire un reddito in quanto parte di un sistema sociale in cui tutti hanno uguali diritti e doveri sociali”.

Ulteriore questione sono le conseguenze dello slegare il reddito dal lavoro: sarebbero un disincentivo a lavorare? E questo maggiore tempo libero che impatto avrebbe sulle persone?

Alcuni critici dicono che i beneficiari del reddito sarebbero portati alla pigrizia, non puntando più a cercare un lavoro, inteso come obiettivo per realizzarsi nella vita.

Al contrario chi sostiene questa misura afferma che in questo modo gli uomini potrebbero concentrarsi sulla propria istruzione e formazione, accrescendo il proprio spirito d’iniziativa. Infine, probabilmente l’impatto maggiore del reddito di base è sul sistema di welfare di un paese.

Da un lato c’è chi sostiene che la misura, sostituendo gli ammortizzatori sociali attualmente attivi, sposterebbe ampie risorse oggi destinate ai poveri distribuendole a persone con redditi superiori.

Dall’altro, invece, si sottolinea che l’attuale organizzazione del welfare è piena di falle e il reddito di base funzionerebbe come un pavimento che darebbe stabilità a tutti, garantendo un sussidio anche a quelle persone, attualmente non riconosciute come beneficiarie dei programmi di assistenza sociale, ma che una volta pagate le tasse finiscono sotto la soglia di povertà.

Napoli, 3 ottobre 2018