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CONTINUIAMO A PENSARE
di Don Giulio Cirignano

      Dopo il mio “Francesco bellezza e coraggio”, dopo “Con Francesco un esodo ricco di futuro”, dopo il commento ad “Evangeliigaudium” è ora di riprendere a pensare e a scrivere. Per una ragione soprattutto. Passano i mesi, continua instancabile la semina di Papa Francesco e rimane, purtroppo, immutabile in certi settori del popolo di Dio la ostilità verso il suo appello alla conversione ed al cambiamento. Come mai? Non è sufficiente dire che convertirsi e cambiare è sempre difficile.

      C’è qualcosa di strano in questa permanente ottusità. Dobbiamo chiarire subito, allora, che in buona parte non è in gioco solo la conversione morale che è, peraltro, sempre di attualità. Più semplicemente è in gioco anche il cambiamento. Occorre spiegarsi. Chiusa la lunga stagione della Controriforma è necessario cambiare il modo di pensare e dire la nostra appartenenza al Vangelo. Cambiare linguaggio, gerarchia di valori, modalità di esprimere nell’oggi i valori di sempre. Cambiare dunque.

    Ma chi non ha forte coscienza della logica della Incarnazione e quindi dell’inevitabile passare delle stagioni di Dio, chi non ha ben chiaro il fatto che “ecclesia est semperreformanda”, chi non è convinto che solo la Parola “manet in aeternum” mentre tutto il resto, frutto dell’uomo, è soggetto al logorio, chi in una parola, non ha la minima percezione del proprio divenire anacronistico con il passare del tempo, come può pensare di cambiare?

      Non può farlo. Soprattutto chi si sente a posto non può avvertire il bisogno del cambiamento. La butto giù dura: il devoto, soprattutto il devoto sicuro della propria integrità devozionale, farà resistenza. Ed è pura e semplice resistenza allo Spirito. Sembra un paradosso ma è così. E’ lo Spirito che spinge in avanti la Chiesa, è sempre lo Spirito a suggerire il dovere di cambiare nel modo di pensare ed attuare il Vangelo, è lo Spirito che mette in evidenza la nostra stanca vecchiezza nel parlare di Dio. Non accorgersi di questo significa non aver cura della propria identità di credenti e perdere qualsiasi possibilità di evangelizzare il tempo presente. Se viviamo, religiosamente parlando, nel passato, come possiamo pensare di incidere nel presente? Parlando di fatto, un’altra lingua, come possiamo sperare di essere compresi?

      Mi ha colpito molto il fatto di incontrare persone in disagio davanti alla proposta connessa con il gaudio evangelico e quindi alla necessità di cambiare: spesso erano persone che avevano avuto, nel loro passato una esperienza religiosa forte. Come spiegare quel loro disagio? Siamo al centro del discorso. La devota spiritualità della controriforma si esprime, in tali persone, in una sentita, sincera, interiorità individuale. Interiorità consolante. Ma in assenza della Parola di Dio ed orfani dell’idea di chiesa come popolo di Dio, purtroppo,la deriva individualistica è inevitabile. Dobbiamo dirlo con forza: la devozione individuale, oggi, non basta più. Naufraga nella indifferenza e nell’inefficienza. Nella afonia profetica.

      Occorre allora, che tutto il popolo di Dio riscopra la chiamata a farsi mediazione del vangelo per l’uomo di oggi, incontri con nuova lucidità l’immersione nella logica del Messia che è logica del dono di sé per proporre la fantastica prospettiva dell’amore attraverso un coraggioso cambiamento non solo delle strutture ecclesiali ma anche delle modalità di pensare e proporre la fede. Una esistenza cristiana diversa è possibile, attenta alle membra sofferenti del Corpo di Cristo, conseguenza di una più radicata fedeltà al Vangelo, non solo è possibile ma è anche bella. La giustizia e l’abolizione di ogni nequizia nell’affermazione della pari dignità di ogni essere umano, dobbiamo riconoscerlo, è l’unico futuro degno dell’uomo.

Napoli, 19 aprile 2018