La scrittura: strumento al servizio del Bene Comune, motore di uguaglianza e di dialogo.
La scrittura: strumento al servizio del Bene Comune, motore di uguaglianza e di dialogo.
di Martina Tafuro
È la paura del confronto che ci ferma quando siamo di fronte ad una scelta che in un modo o nell’ altro, prima o poi, attraversa ciascuno di noi: lanciarsi alla scoperta di nuovi mondi o chiudersi nel proprio ovile. Ebbene, cosa c’è di più sensazionale se non scoprire l’altro per approfondire se stessi?
È questo l’immenso beneficio che la lettura ci permette di assaporare. Eppure ci trastulliamo in attività che riteniamo interessanti e ricreative, mentendo spudoratamente prima a noi stessi e poi agli altri, vantando conoscenze, dissertando sul genere letterario che più ci confà, astraendoci dalla realtà cruda. Fin quando alla nostra porta non viene a bussare la realtà che mette in pericolo la solidità del cristallo della nostra lussuosa campana di vetro che funge da pseudoscudo, ma che nel migliore dei casi si infrange sotto i primi colpi. Spesso il coraggio sta nel superare le barriere che ci costringono ad avere limiti e decidere di immergersi in nuovi orizzonti, ribellarsi, se necessario, agli stereotipi che attanagliano la società nella quale viviamo.
È ciò che Malala Yousafzai, la studentessa pakistana che ha subito un attentato dai talebani per aver frequentato la scuola, ha testimoniato: “Riprendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti”, queste sono le parole, pronunciate nel suo discorso alle Nazioni Unite. Siamo prigionieri del silenzio che si espande nel cuore dei giovani che da adulti vagheranno nella propria città, ricoperti interamente da un alone nero, lo stesso che da ragazzi ha tarpato le loro ali. É questo il perno intorno al quale deve ruotare la vita dell’ uomo del XXI secolo: la condivisione del sapere, la curiosità del conoscere.
Di fronte a questa terribile crisi globale che ha generato decadenza morale e culturale, diventa urgente riappropriarsi della necessità di ridefinire le regole del gioco, di provare a ridisegnare un nuovo catalogo di valori, esperienze, sensibilità positive, da cui provare a ripartire, non discorsi astratti, ma un’agenda di cose da fare e da fare bene, al meglio possibile. Della nostra storia recente siamo soliti dare una lettura all’insegna della negatività, che finisce per alimentare le ragioni del catastrofismo e della rassegnazione. Eppure sono ancora molte le energie, le competenze e le disponibilità di chi vede la crisi come un’occasione di cambiamento e di innovazione vera. Dove finisce l’etica pubblica e inizia quella privata? In quale misura sono cambiate? Come sta evolvendo la mentalità collettiva? Da studente mi sento di dire che una prima opportunità potrà venire dalle risposte che la letteratura e la filosofia ha dato ai bisogni primari delle società umane.
E’ ineluttabile rimarcare la necessità del Bene, aver cancellato la linea di confine tra il bene e il male, trasformando una scelta imprescindibile in qualcosa di relativo, ha contribuito a trascinare le nuove generazioni in uno stato di confusione e offuscamento, da cui è sparito ogni possibile senso da dare alla propria esistenza.
Di pari passo negli ultimi anni è cresciuta una sensibilità collettiva sul concetto e sulla pratica di Bene Comune nella gestione di risorse primarie e irrinunciabili, a partire dall’ambiente, dall’acqua e dalla necessità di ridisegnare scenari per uno sviluppo sostenibile e equo. È al centro della discussione corrente un nuovo rapporto tra mondo delle persone e mondo dei beni, un tempo affidato alle logiche di mercato.
Rafforziamo con nuovi argini la condivisione, come ultima possibilità per superare la crisi e le emergenze e guardare con fiducia al futuro. Lo sharing, come la rete ci ha insegnato a chiamare la condivisione, ormai fa parte della nostra vita quotidiana, da forme evolute e sofisticate a pratiche spontanee. Perché, un po’ per necessità e un po’ per virtù, il condividere torna a essere una scelta e un’idea molto diffusa, dopo decenni in cui abbiamo idealizzato il consumo e il possesso individuale. Sono diventate patrimonio comune esperienze come il commercio equo solidale, una forma di commercio internazionale, alternativa a quella convenzionale, attraverso la quale si tende a far crescere aziende economicamente sane, garantendo ai produttori ed ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico-sociale equo e rispettoso. Promuove principi di giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente oltre che la crescita della consapevolezza dei consumatori.
Il Commercio Equo Solidale è, pertanto, una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, Botteghe del Mondo, importatori e consumatori. Ricercare il bene comune significa essere cittadini consapevoli e attivi, divenendo attori sociali coscienti, che sappiano portare energie alla ricerca di un futuro più umanizzato.
Significa vivere le nostre comunità come luogo fisico, come sistema di relazioni, rete di connessione e patrimonio ambientale.
E’ questo il primo Bene Comune di cui prendersi cura.
Napoli, 3 aprile 2018