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ROSALIND: STORIE DA RICORDARE

di Martina Tafuro

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Rosalind Franklin

Quando, nel 1962, Watson, Crick e Wilkins ricevettero il premio Nobel per la medicina grazie alla scoperta della struttura del dna, non si udì mezza parola su di lei. Se il comitato non la incluse, fu perché i tre moschettieri della doppia elica si guardarono bene dal ricordare il fondamentale apporto che le ricerche della scienziata avevano dato alla individuazione della struttura tridimensionale degli acidi nucleici costituiti da lunghe catene molecolari avvolte a elica. Lei, non avrebbe potuto lamentarsi: cristallografa professionista, Rosalind Franklin era morta, il 16 aprile 1958, di tumore a 37 anni, probabilmente anche a causa delle radiazioni a cui i suoi studi l’avevano lungamente esposta. Nata nel 1920, Franklin studiò a Cambridge, iniziando la sua carriera di ricercatrice a Parigi e continuandola poi al Kings College di Londra. Fu qui che le sue foto del dna, viste all’insaputa della donna, folgorarono Watson, che in esse riconobbe la raffigurazione della doppia elica. Nel 1952 infatti, utilizzando una macchina da lei modificata, Franklin aveva ottenuto la foto del dna nella sua forma b. Attraverso l’analisi del suo epistolario e delle interviste ai protagonisti minori della vicenda, è emerso che sia stata proprio lei la vera scopritrice della morfologia a elica del dna. Nel tempo, però, il suo apporto cominciò a emergere. Infatti quando, dopo la vincita del Nobel, Watson scrisse The Double Helix e non poté non citarla. Ma lo fece minimizzandone il più possibile l’apporto, denigrandola come donna e come scienziata. Tanta misoginia, determinò un cambio di editore, la Harvard University Press, dopo che ne era circolata una prima bozza, rescisse il contratto, perchè il testo offendeva colei che non era più in grado di difendersi. é l’ennesimatestimonianza di come l’apporto femminile venga minimizzato dalla società.

ASHA: STORIE DA SOSTENERE

di Martina Tafuro

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Asha Omar Ahmed, l’angelo di Mogadiscio, dopo 15 anni in Italia per specializzarsi in oncologia e ginecologia, è rientrata in Somalia. È tornata nel suo Paese con l’obiettivo di spiegare l’importanza dell’igiene e della profilassi e per combattere la pratica delle mutilazioni genitali femminili. La Somalia ancora oggi è uno tra i paesi con il maggior numero di donne morte di parto in conseguenza della pratica delle mutilazioni genitali. Parlare di queste pratiche suscita diffidenza e chiusura, sia perché è considerato tabù, sia perché per molte donne e uomini si mette in dubbio, per la prima volta, una tradizione. Il primo passo, racconta Asha, è spiegare alle persone i rischi e le conseguenze delle mutilazioni, di cui spesso non sono a conoscenza. Ha fondato Save our mothers, un’associazione che mette nero su bianco le gravi condizioni fisiche che accompagnano tutta la vita delle donne in seguito alle mutilazioni e spesso ne sono causa di sofferenza e morte.

SUOR ANNA: STORIE DA DIFENDERE

di Martina Tafuro

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Suor Anna Alonzo, nel quartiere Guadagna di Palermo ha spalancato zone degradate e assediate della città al gusto di stare insieme. Mese dopo mese, i metri quadrati accessibili alla comunità sono cresciuti e gli attacchi, le provocazioni, la violenza non hanno ottenuto per reazione né sistemi di allarme, né porte blindate. Si chiama oggi Centro Arcobaleno 3P, come qui nominano ancora, con le sole iniziali, Padre Pino Puglisi. All’interno del centro del beato è appeso un grande ritratto, la tela è piena di cuciture, perché un giorno qualcuno irruppe e, con una lama, volle ucciderlo una seconda volta. L’immagine martire, con le sue cicatrici, definisce oggi uno stile: quello di presenza quotidiana, costi quel che costi, come lievito nella pasta. Suor Anna ha innescato processi, più che occupare spazi. Dà le chiavi del centro per incontrarsi a chiunque, non pianifica, aiuta a strutturare, connette. Così, un’idea cresce, un bisogno trova risposta, qualche progetto dura e si sviluppa: giorno per giorno, da anni. Una rivoluzione, in strade che i palermitani del centro mai avrebbero percorso. Vengono non solo a prendere, ma sempre di più a dare, perché se ciò che era di nessuno diventa comune, allora si sente di appartenere. Nasce, così, la responsabilità, un senso di partecipazione, in cui nessuno è passivo destinatario, né tanto meno assistito.

Napoli, 7 marzo 2018