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Biodegradabilità: I sacchetti a norma di legge

di Stefania Di Martino

La biodegradabilità è la peculiarità delle sostanze organiche di essere degradate dall’attività enzimatica dei microorganismi (batteri, alghe e funghi) in sostanze semplici quali acqua, anidride carbonica e metano.

I prodotti sintetici, come ad esempio le plastiche, si definiscono non biodegradabili perché non esistono microorganismi capaci di ridurli in sostanze elementari e quindi permangono nell’ambiente per un periodo che va dai 100 ai 600 anni, periodo durante il quale vengono frammentati in piccole particelle con conseguente rilascio di sostanze pericolose che contribuiscono all’inquinamento dell’ambiente e si introducono nella catena alimentare causando danni alla salute umana.

La necessità di porre rimedio al problema dell’inquinamento ha indotto a realizzare materiali ecosostenibili e biodegradabili, come ad esempio la bioplastica, costituiti essenzialmente da sostanze di origine vegetale che riescono in pochi mesi a decomporsi in microparticelle assorbite dal terreno.

Attualmente sono disponibili le seguenti plastiche biodegradabili:

• plastiche derivanti dall’amido, impiegate per produrre i sacchetti biodegradabili;
• plastiche derivanti dall’acido polilattico (PLA), utilizzate per produrre i contenitori alimentari;
• plastiche derivanti dal poliidrossibutirrato (PHB), adatte per l’imballaggio di prodotti sensibili all’ossigeno.

I sacchetti biodegradabili hanno sostituito quelli in polietilene e devono soddisfare le caratteristiche e i requisiti stabiliti dalla norma tecnica armonizzata UNI EN 13432:2002 “Imballaggi – Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione – Schema di prova e criteri di valutazione per l’accettazione finale degli imballaggi”, secondo cui tali sacchetti devono sgretolarsi al 90% entro tre mesi.

Il 13 agosto 2017 è entrata in vigore la legge 123/2017 che ha stabilito le norme per la commercializzazione dei sacchetti in plastica biodegradabili valide sia per gli imballaggi primari, utilizzati per gli alimenti sfusi, sia per gli imballaggi terziari, utilizzati per il trasporto, i quali devono avere un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40%. Tale legge ha inoltre stabilito le sanzioni amministrative pecuniarie, che vanno da 2500 a 25000 euro, per chi commercializza i sacchetti realizzati con polimeri non conformi alla suddetta norma tecnica armonizzata e vengono aumentate fino al quadruplo del massimo se la commercializzazione riguarda un considerevole quantitativo di sacchetti o un valore superiore al dieci per cento del fatturato del trasgressore.

Inoltre, i sacchetti biodegradabili conformi alla legge devono essere contrassegnati dalla dicitura “Biodegradabile e compostabile” e dal marchio di un ente certificatore.

Se da un lato le attuali norme sulla distribuzione non gratuita dei sacchetti biodegradabili sono state oggetto di polemiche, dall’altro è doveroso focalizzare l’attenzione sul concetto di sviluppo sostenibile alla base del quale vi è l’obiettivo e l’esigenza di soddisfare i bisogni delle attuali generazioni preservando l’ambiente e i diritti delle generazioni future, che vanno a tutti i costi tutelati. Ed è proprio sulla base di tali considerazioni che andrebbe pacata l’indignazione.

Napoli, 21 febbraio 2018