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1968 nasceva il Club di Roma. Siamo ancora in tempo per rallentare

di Martina Tafuro

Nel 1968 l’imprenditore italiano Aurelio Peccei, lo scienziato scozzese Alexander King, insieme a intellettuali fra cui Elisabeth Mann Borgese, premi Nobel e leader politici fondano il Club di Roma.

Il 17 e il 18 ottobre 2018 Roma ha ospitato un evento celebrativo con relatori tra i massimi esperti mondiali in tema di sostenibilità.

Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei.

La mission del Club è di agire come catalizzatore dei cambiamenti globali, individuando i principali problemi che l’umanità si troverà ad affrontare, analizzandoli in un contesto mondiale e ricercando soluzioni alternative nei diversi scenari possibili. Nel progetto, quindi, il Club di Roma intende essere una sorta di cenacolo di pensatori dediti ad analizzare i cambiamenti della società contemporanea.

Aurelio Peccei e gli studiosi del gruppo stabilirono che il destino dell’umanità doveva essere analizzato scientificamente, utilizzando due concetti chiave “attenzione ed educazione al futuro” e “visione del destino dell’umanità”. Era diventato un imperativo categorico che le generazioni future dovevano essere avvisate di quello che stava per succedere, dovevano essere messe in guardia sui mutamenti e sui possibili pericoli planetari.

Per evitare la catastrofe la tecnologia può dare un rilevante contributo, ma il suo adeguato impiego richiede coraggiose scelte politiche e finanziarie.

La globalità dei problemi, dal cambiamento climatico, alle migrazioni o anche solo pensando alle crescenti diseguaglianze, fa sì che nessuna area del mondo possa pensare di esimersi dal rischio del tracollo. Dunque, bisogna cambiare strada e farlo rapidamente.

La prospettiva di una “nuova economia climatica”, che oltre a tutto può contribuire anche alla crescita economica, è stata sin dal principio sottolineata da tutti i partecipanti al consesso.

Il Club di Roma, con forza, volle richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sui problemi del futuro realizzando un libro che si prefiggeva di spiegare, in forma convincente e provocatoria, che cosa ci si sarebbe potuti aspettare all’inizio del ventunesimo secolo.

Mediante modelli matematici e l’uso di (allora, nel 1970) potenti calcolatori elettronici, alcuni studiosi, per conto del Club di Roma, analizzarono che cosa sarebbe potuto succedere se alcuni fenomeni fossero aumentati con certe tendenze.

Conquistò l’attenzione dell’opinione pubblica con il suo I limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, pubblicato nel 1972, il quale prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, principalmente il petrolio e della debole capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. La crisi petrolifera del 1973 attirò ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica su questo problema.

E´ dalla pubblicazione del Rapporto che si discute tra chi è convinto che il progresso tecnologico sia in grado di risolvere tutte le sfide e chi è preoccupato che se non cambiamo strada siamo avviati al disastro. I dati che si stanno accumulando ci dicono che stiamo percorrendo la strada verso l’abisso, anche se l’Agenda 2030 ha posto le basi per un grande impegno mondiale.

Le donne, gli uomini e le idee dell’ambientalismo

Sono passati ventisei anni dal primo Vertice della Terra di Rio del 1992, evento che segnò lo spartiacque nel governo della Terra. In quell’occasione vennero fissati obiettivi comuni e fu chiaro a tutti che si stava entrando nell’era dello sviluppo sostenibile.
Ma come e quando sono nate le lotte ambientali e quali idee ne sono state alla base?

La consapevolezza ambientale.

Nel 1962, Rachel Carson pubblicò “Silent Spring”e denunciò al mondo, le conseguenze ambientali nefaste sul pianeta frutto dell’uso delle sostanze chimiche di sintesi e dimostrò che erano state intaccate in modo irreversibile le catene alimentari, sia terrestri che marine. Il grandioso successo di vendite fece da volano per un furioso attacco all’industria chimica, John Kennedy fu costretto a inserire nell’agenda di governo i primi provvedimenti ambientali. L’opera fu tradotta in molte lingue, la Feltrinelli la pubblicò in Italia col titolo “Primavera Silenziosa” nel 1963. Rachel Carson, morì nel 1964, ma di lei è restato l’appassionato impegno, lo scrupoloso rispetto della verità e il coraggio personale che sono serviti da modello nella lotta per la difesa dell’ambiente in tutto il mondo, e lei stessa può essere considerata madre del movimento ambientalista. Le tesi, ancora attualissime esposte in “Primavera silenziosa” dimostrano che esistono alternative all’ avvelenamento del pianeta da parte delle industrie chimiche e che il lavoro congiunto degli studiosi ambientali suggerisce soluzioni biologiche, basate sulla conoscenza degli organismi viventi.

Il dibattito ambientalista si internazionalizza.

Nel 1972 fu pubblicato: “The Limits to Growth”. Questo capolavoro è il frutto delle intuizioni di Aurelio Peccei, un alto dirigente Fiat …senza maglioncino monastico monocromatico. Laureatosi in economia con una tesi sulla Nuova politica economica di Lenin, fu partigiano di Giustizia e Libertà, nei mesi successivi alla Liberazione fu alla testa della casa madre torinese e contribuì alla fondazione dell’Alitalia. Pur essendo uno dei manager più competenti e creativi della Fiat e pur di essere fedele alla sua vocazione manageriale e aziendale, si vide precludere l’ascesa ai massimi vertici della Fiat, ma grazie ai suoi eccellenti rapporti prima con Vittorio Valletta poi con Gianni Agnelli riuscì a ritagliarsi spazi di manovra. Fondò e diresse in America Latina la più fortunata filiale estera della Fiat e in seguito l’Adela, “società di investimenti e gestioni fondata sulla cooperazione di vari continenti”, rimise in sesto l’ Olivetti e ideò un “gruppo di consulenza ingegneristica ed economica” per gli investimenti nel Terzo Mondo, l’Italconsult, capace di “svilupparsi indipendentemente da quella degli azionisti e dei loro interessi”. Tutto questo, avendo sempre come ruolo principale la direzione di tutte le operazioni sudamericane della Fiat. La vita di Peccei sia di illuminazione a tanti manager contemporanei, pieni di boria. In età ormai matura Peccei iniziò a riflettere sulle implicazioni della mondializzazione dell’economia e della rapidità dell’innovazione tecnologica. La sua idea, era che le novità derivanti da questi due fenomeni non fossero solo positive, ma implicassero dei gravi squilibri a livello planetario destinati ad aggravarsi col passare del tempo fino ad arrivare a veri e propri punti di rottura. Peccei riteneva tuttavia che queste tendenze potessero essere governate, a condizione però di averne piena consapevolezza e di riuscire a realizzare una vera e propria rivoluzione nel modo di considerare il governo della cosa pubblica. Quel che era necessario, secondo Peccei, era un approccio sistemico, globale, previsionale e fortemente cooperativo. Il tutto, però, animato da un profondo senso del bene pubblico. Per far modo che queste intuizioni divenissero patrimonio comune sia delle opinioni pubbliche che dei tecnici e dei governanti, Peccei costituì quel che noi oggi chiameremmo un serbatoio di pensiero, i superesperti direbbero think tank, fatto di personalità di tutto il mondo, il Club di Roma, creato nel 1967-68 e si sforzò di capire come si potessero comunicare con successo le conoscenze e la visione complessiva maturate all’interno del gruppo. Il risultato, nel marzo del 1972, fu la pubblicazione, del rapporto The Limits to Growth, tradotto in Italia con un pessimo titolo: ”I limiti dello sviluppo”, che illustrava i possibili scenari planetari per i successivi settantacinque anni a seconda delle scelte politiche e tecnologiche adottate. La ricerca fu strutturata secondo i criteri dell’analisi dei sistemi che si basa sullo studio di come variano col tempo alcune grandezze correlate con altre; si deve cercare di immaginare come ciascuna può variare se ognuna delle altre cambia in un certo modo. L’analisi può essere fatta con equazioni differenziali derivate da quelle che cercano di prevedere come varia una popolazione animale se nello stesso territorio sono presenti altri animali, prede o predatori, se il cibo o lo spazio sono scarsi, se sono presenti agenti intossicanti, ecc. La stessa procedura può essere applicata nel cercare di correlare gli affari di una impresa industriale con la dimensione del mercato, con l’aggressività dei concorrenti, col costo del denaro, con il cambiamento dei gusti dei consumatori, ecc. Se volessimo indicare cos’- hanno in comune, “Silent Spring” e “The Limits to Growth” dovremmo concentrare la nostra attenzione su cinque elementi: esse hanno fortemente favorito l’internazionalizzazione del dibattito ambientalista, fino a quel momento piuttosto ripiegato su ambiti continentali o persino nazionali; hanno segnato la comparsa di quello che si sarebbe poi chiamato l’ambientalismo scientifico, cioè un approccio ambientalista fondato molto più su solide basi conoscitive che non su petizioni di principio magari dalle fragili basi argomentative; hanno dato un contributo cruciale all’istituzionalizzazione delle politiche ambientali, sia nazionali che sovranazionali; hanno imposto con maggior autorevolezza che in passato un approccio sistemico e globale all’analisi dei fenomeni ambientali e soprattutto all’analisi del danno ambientale; sono stati importanti catalizzatori di una straordinaria crescita della consapevolezza ambientale e dei relativi movimenti a livello mondiale.

Modello e metodologia

Il Rapporto sui limiti dello sviluppo aveva come base teorica il modello World3

Il modello World3 è un modello matematico scritto in un linguaggio chiamato DYNAMO. Il codice sorgente DYNAMO è stato pubblicato su Dynamics of Growth in a Finite World (1974) assieme all’analisi del sistema di equazioni differenziali accoppiate che costituiscono il modello World3.

I punti-leva del World3 sono essenzialmente tre:

  1. La crescita economica è correlata all’attività industriale con una curva crescente e l’attività industriale al consumo di materie prime. In pratica, per fare più soldi si deve scavare di più.
  2. La crescita economica è correlata alla fertilità tramite una curva bizzarra che dice essenzialmente questo: i poveri tendono a fare molti figli (faccio molti figli perché pochi sopravvivranno), l’aumento della ricchezza porta il tasso di fertilità a stabilizzarsi attorno ai due figli per coppia (faccio i figli che mi posso permettere) salvo crescere ancora all’aumentare della ricchezza oltre un certo limite (faccio più figli perché sono ricco e mi posso permettere di averne tanti).
  3. La produzione industriale è direttamente correlata all’inquinamento e, indi, al tasso di mortalità. Altrimenti detto, producendo oltremisura si finisce a morire di inquinamento.

Napoli, 29 ottobre 2018