Rincorriamo mille orizzonti luminosi tracciati tra le macerie di questa vita
Rincorriamo mille orizzonti luminosi tracciati tra le macerie di questa vita
di Matteo Tafuro
Quando un uomo siede vicino ad una ragazza carina per un’ora,
sembra che sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa accesa per
un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora.
Questa è la relatività.
Albert Einstein
Tempo. Tempo. Tempo. La sola credibile forma di ricchezza che esiste al mondo è il tempo.
Voglio avere il tempo di vivere ad Assisi, di correre sulla spiaggia di Paestum con la mia Maria, di camminare lungo il tragitto dell’Eremo delle Carceri con Matteo e Martina, di perdermi tra le vie di Lourdes ad annusare la natura, di osservare la conversazione tra due persone da lontano e immaginarmi cosa si dicono e come sono le loro vite.
Voglio avere il tempo di vivere il tempo.
Sono sobrio ve lo giuro!
Pensavo queste cose mentre ricordavo che giorni fa da perfetto catto/volontario mi ero fermato ad osservare la vendita di accessori per telefonini fuori la Chiesa, per venire incontro alle esigenze delle famiglie colpite dalla pandemia.
Banchetto delle cover per smartphone: un euro a pezzo.
Vedo da lontano, Adrian, il mio compagno venuto da chi sa quale parte del pianeta, avventore fisso della mensa fraterna, col suo sguardo da bambino furbetto, guardarsi intorno vigile. “Sta per rubare una cover” penso e infatti la sua mano si tende.
Abatin il suo compagno di scorribande, lo vede, gli ferma la mano, investe sulla condivisione il suo ultimo euro.
Ecco, lo sapevo! Un altro duro colpo alle mie precarie certezze catto/fideiste, poi mi ricompongo e mi viene subito in mente Fabrizio De Andrè, quando canta: “Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame. Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”.
Allora mi chiedo se ho delle responsabilità che possano aver messo Adrian, nelle condizioni di pensare che rubare fosse l’unica parola a far rima con pane?
Non rubare, non va interpretato e comprendere cosa ha dettato l’azione del compagno povero in canna, non significa giustificarla, ma nel mio tempo getta una luce altra.
Il filosofo russo Nicolas Berdiaeff ha scritto: “Il pane per me stesso è una questione materiale. Il pane per il mio vicino è una questione spirituale. Spiritualità della pace significa appunto cercare il pane per il proprio vicino”.
Se avrò il tempo di crescere come maschio autenticamente spirituale, sarò anche compagno di tutti, nel senso più vero ed etimologico del termine: companio, coloro che hanno il pane in comune. Perché, già da ora e sempre di più nel mio tempo futuro, diverso, possibile, necessario… il pane e la vita voglio con-dividerli con tutti.
Davanti a una puttana giustamente fermata al Centro Direzionale e consegnata alla polizia vi sentite davvero così assolti voi che non rilasciate scontrino, che fingete legalità con tutti passaggi di livello che vi danno ad regalum, che costruite palazzi con la carta velina, che scambiate mari e cave per discariche a cielo aperto, che comprate così tanto cibo da buttarlo via en passant.
Il profeta ripete:”Chi ha fame venga e mangi, senza denaro e senza spesa”.
Ma quale fame morde dentro di me? Fame solo di pane? Fame di felicità, ma con gli altri o a spese di altri? Fame di giustizialismo o giustizia? Fame solo di avere o anche fame di dare?
Voglio avere il tempo di realizzare il grande appello di Faber alla libertà, alla tolleranza, ai rapporti orizzontali… Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va perciò ho deciso di rinunciare alla mia ora di libertà…se c’è qualcosa da spartire tra un prigioniero e il suo piantone che non sia l’aria di quel cortile voglio soltanto che sia prigione che non sia l’aria.
La bellezza della vita sociale dipende soprattutto dal gioco e dall’intreccio delle differenze.
La terra non è bella solo per la varietà di farfalle e per il Napoli, c’è molta bellezza generata dalle differenze nei modi e nelle forme di fare economia, impresa, banca e di vivere il tempo.
E ancor più grande è la bellezza che nasce dalle differenze tra le persone, dall’incontro dei loro talenti diversi, dal dialogo tra le loro motivazioni.
La tendenza più radicale dell’ opprimente umanesimo immunitario, partorita dal capitalismo contemporaneo è il bisogno di controllare, arginare, normalizzare le motivazioni più profonde degli esseri umani, soprattutto quelle intrinseche dove hanno piantato solide e robuste radici la mia gratuità e la mia libertà.
Quando, infatti, mettiamo in moto le nostre passioni, gli ideali, il nostro spirito, accade che i nostri comportamenti sfuggano al controllo delle organizzazioni.
Le nostre azioni diventano imprevedibili perché libere e quindi mettono in crisi i protocolli e le catalogazioni.
Capisco bene che spesso ho messo piede in letture improprie, come quella che sottolinea la fruizione sociale dei beni fino al punto di misconoscere che l’essere umano esprime una inconciliabile libertà personale.
Siatene certi non possiedo questa visione unilaterale che conduce all’eccesso contrario, cioè all’ autoreferenzialità, che tratta egoisticamente i beni.
Credo fermamente che essi siano, nella loro essenza, dono di Dio, ma ancor di più credo e spendo il mio tempo affinché dalla mia capacità di mantenermi in equilibrio, tra proprietà e giustizia, dipende la pace.
Ah! Dimenticavo. La canzone di Faber si intitola: Nella mia ora di libertà, tratta dall’album: Storia di un impiegato. “Se fossi stato al vostro posto ma al vostro posto non ci so stare… non si può essere così coglioni da non capire che non ci sono poteri buoni!!! “.
Napoli, 30 maggio 2021